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News maggio 2010

Da Asclepio a Cristo

da  L’Osservatore Romano, 27 maggio 2010

Da Asclepio a Cristo

Le comunità delle origini e il rapporto tra medicina e fede

Pubblichiamo stralci di due relazioni del convegno “Malattia versus Religione tra antico e moderno”. Organizzato nell’ambito delle Giornate genovesi di cultura cristiana, si svolge a Roma dal 26 al 29 maggio nel complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia e al policlinico Agostino Gemelli.

di Enrico dal Covolo

La fede biblica in un Dio unico, personale, creatore e soprattutto padre, che dispensa ai suoi figli dolori e gioie, malattie e guarigioni in modo misterioso, ma sempre provvidenziale, creò nel cristianesimo primitivo le condizioni favorevoli per un’equilibrata convivenza di due sistemi di guarigione complementari, e talora concorrenti:  da un lato una sincera accoglienza della “medicina razionale, fisica, laica”, quando questa accetta di considerarsi ministra di Dio; dall’altro il progressivo instaurarsi e rafforzarsi di un sistema di “medicina religiosa e soprannaturale”, sempre più gestito dalla Chiesa mediante la preghiera, l’esorcismo e il miracolo, e in genere mediante la fede.

Circostanze culturali di vario genere favorirono alcuni modi di pensare:  anzitutto l’opinione, non del tutto assente fino alla metà del ii secolo, che le guarigioni miracolose fossero piuttosto frutto di carismi operanti solo in epoca apostolica; inoltre una fondamentale laicità della medicina razionale, ovviamente con caratteri ben più marcati rispetto alla medicina legata ai culti pagani; e ancora un forte interesse dei cristiani per l’etica severa del giuramento ippocratico, che i medici antichi pronunciavano in teoria, ma che non sempre praticavano nella professione quotidiana.

In tale contesto si inserisce con successo il titolo di “medico” e di “approntatore di farmaci” (lui stesso, anzi, medico e medicina) attribuito a Gesù Cristo, terapeuta del corpo e dell’anima. Dell’anima soprattutto, e del corpo in vista dell’anima:  idea che diventa addirittura stereotipa in Oriente da Ignazio di Antiochia in poi, mentre è meno diffusa in Occidente, dove tuttavia si riscontra la frequenza del tòpos negli scritti di Ambrogio, di Girolamo e di Agostino.

Sia in Oriente sia in Occidente il titolo di “medico” fu attribuito non solo a Cristo, ma anche ai profeti di Israele e ai grandi personaggi dell’Antico Testamento, agli apostoli, a uomini di Chiesa, a vescovi, presbiteri e diaconi. Analogamente i padri spirituali del cristianesimo antico assunsero dalla pratica della medicina razionale le metafore per illustrare i momenti e i modi della terapia dello spirito. Anche tra i presbiteri e i vescovi si trovano dei medici. Eusebio ricorda fra i martiri di Lione un Alessandro medico; e i santi medici Cosma e Damiano – patroni della medicina – sono collocati da una pia tradizione fra i martiri della grande persecuzione dioclezianea.

In generale, le ricerche sulla medicina patristica attestano un apprezzamento molto positivo della medicina razionale da parte dei cristiani. Ma era inevitabile che ci fossero delle tensioni, e anche dei rifiuti. Marcione per esempio, con il suo disprezzo del corpo, della creazione e dello stesso Creatore, finisce col disprezzare anche la medicina, tanto da espungere dalla Lettera ai Colossesi l’elogio di Paolo a Luca, quale “benemerito medico” (4, 14).

Più difficile e complesso è il caso di Taziano. Nel suo encratismo, dove il dualismo paolino tra carne e spirito è concepito in senso platonico, l’apologeta siro sconsiglia l’uso dei medicamenti tratti dalla terra, ritenendo di origine demoniaca, e quindi non volute da Dio, le guarigioni raggiunte per questa via. In altri casi istanze di carattere ascetico introducono distinzioni problematiche. Così Origene, che peraltro ritiene la medicina “benemerita ed essenziale per l’umanità”, in altro contesto la raccomanda sì ai comuni cristiani, ma afferma che quanti aspirano a diventare perfetti dovrebbero chiedere la guarigione con la sola preghiera. In modo abbastanza simile Basilio di Cesarea distingue tra le malattie di origine naturale, che possono essere curate dai medici, e quelle inviate direttamente da Dio per punizione o per santificazione, per le quali sarebbe somma stoltezza qualsiasi cura fisica. Non mancavano poi motivi specifici di diffidenza e di riserva. I Padri sono molto preoccupati che un’eccessiva fiducia nei medici metta a rischio la convinzione che, in definitiva, è sempre Dio a guarire. Né sembrava molto adatta a favorire un buon rapporto con la medicina certa mistica cristiana del dolore, che, proclamando il valore pedagogico della sofferenza (si ricordi il libro di Giobbe), finiva per reprimere le esigenze del corpo a favore delle aspirazioni di salute dell’anima.

Il punto di equilibrio è comunque fissato con chiarezza già da Origene:  “Le persone religiose – scrive nelle annotazioni al iii libro dei Re – ricorrono ai medici come a collaboratori di Dio, ben sapendo che egli ha donato agli uomini, come tutte le altre scienze, anche la scienza medica, e che è stato lui a ordinare alle erbe di germogliare dalla terra. Tuttavia le persone religiose sanno anche che l’arte dei medici a nulla può se Dio non vuole, ma tanto può quanto lui vuole”.

Non bisogna dimenticare, infine, la persistenza di un terzo sistema di guarigione, quello cioè legato alla pratica della magia, in collegamento con i culti pagani.

Rimasta piuttosto latente nella comunità cristiana durante i primi secoli, la pratica della magia riesplode in coincidenza con un’istanza di salute sempre più diffusa anche nei ceti popolari e, soprattutto, con la reazione pagana del iv secolo. A questo sistema di medicina, che cura attraverso l’uso di amuleti, di carmi magici, di incantesimi, oltre che rinnovando l’antica pratica delle incubazioni nei luoghi sacri, la Chiesa dei vescovi risponde organizzando e potenziando il proprio sistema di guarigione religiosa, sia con le forme della progrediente liturgia dei malati sia con nuove fenomenologie provenienti dalla venerazione dei santi.

Così al culto di Asclepio si oppone quello di santi medici martiri, o asceti, taumaturghi e anàrgyroi (cioè “senza moneta”, che curano gratis), come Cosma e Damiano, Antonio, Ilarione, Gregorio Taumaturgo, Ciro e Giovanni, Artemio, Sansone, Panteleemone, Zallelaio, che guariscono in vario modo:  o con un semplice segno di croce o imponendo le mani o benedicendo vestiti e altri oggetti, oppure richiamandosi al potere del nome di Gesù. Luoghi pagani di guarigione sacra vengono trasformati in centri di guarigione cristiani. Si sviluppano il culto delle reliquie e il loro uso a scopo terapeutico, con ampia proclamazione di eventi miracolosi. Il complesso dei fenomeni è spesso affastellato e difficilmente districabile. Gli stessi confini tra medicina razionale, medicina religiosa e medicina magica sono tutt’altro che netti e sicuri, tanto che nel discernere persino sant’Agostino mostra alcuni dubbi. Ma, in definitiva, il rapporto positivo tra cristianesimo e medicina sembra tenere. In molti casi, le ammonizioni rivolte ai medici e ai pazienti, perché si ricordino che solo Dio guarisce, si accompagnano a chiare affermazioni sull’importanza e sul valore dell’arte medica.

Si può anzi concludere citando un’iscrizione in versi dedicata al sacerdote e medico anàrgyros Dionisio, vissuto intorno al 400, nella quale si attesta la conciliazione delle due professioni, quella della medicina e quella della fede:  Ars veneranda fidem, fidei decus extulit artem (“L’arte medica deve venerare la fede, e il decoro della fede esalta l’arte medica”).

© L’Osservatore Romano

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