Scienza, fede, ragione, informazione. Direttore Paolo Centofanti

News gennaio 2010

2012? Non è mica la fine del mondo

da  L’Osservatore Romano, 6 gennaio 2010


2012 ? Non è mica la fine del mondo

A colloquio con l’astronomo gesuita Guy Consolmagno sulle interpretazioni della stella di Betlemme e sulle predizioni del futuro

di Gianluca Biccini

Faremo la stessa fine dei dinosauri? Forse sì. Ma tranquilli, non nel 2012. Perciò nessun credito a “improbabili pronostici” o “previsioni” del futuro già stigmatizzati da Benedetto XVI. La rassicurazione arriva da fratel Guy Consolmagno, astronomo della Specola Vaticana, che di transiti celesti se ne intende, eccome. Il viso incorniciato da capelli e barba d’altri tempi, questo gesuita statunitense unisce il rigore dello studioso a uno spiccato senso della notizia – ci ha confidato che da giovane provò a fare il giornalista – e alla fede salda dei discepoli di Ignazio di Loyola. Da lui una lezione ai profeti di sventura che in tempi di crisi fanno affari d’oro: il colossal 2012 sbanca al botteghino e i nefasti pronostici attribuiti al calendario degli incolpevoli maya hanno riacceso i riflettori sul tema della fine del mondo. Lo abbiamo raggiunto a Tucson, dove ha trascorso le giornate natalizie tra l’università dell’Arizona e l’osservatorio sul Monte Graham, con l’avveniristico telescopio vaticano a tecnologia avanzata.

Che atmosfera si respira da quelle parti?

Il Natale qui presenta quelle caratteristiche comuni che conosciamo e amiamo in tutto il resto del mondo… ma senza la neve. Io sono cresciuto nel Michigan, proprio vicino al lago canadese Huron, con molta neve e inverni freddi. Lo stesso clima l’ho ritrovato sul Monte Graham, a 3.200 metri di altitudine, dove ho trascorso la settimana prima di Natale presso il nostro telescopio con la temperatura che ha quasi raggiunto il gelo e il suolo ricoperto di neve.

Come vive la gente il Natale in Arizona?

Qui c’è la tradizione della “luminaria”: candele poste in piccoli involucri di carta, appesantiti da sabbia, che illuminano le strade la sera. Il giorno di Natale ho partecipato alla messa in una comunità di monache benedettine. Il celebrante indossava una stola speciale fatta da una donna Navaho e decorata con immagini di stelle e pianeti. Poi ho fatto visita a numerosi amici e ho assaggiato cibi tradizionali delle varie culture che formano l’America:  äbleskivers danesi, tamales messicani, mincemeat pies inglesi.

Siamo alla vigilia dell’Epifania. Cosa può dirci oggi l’astronomia della stella che duemila anni fa guidò i magi e i pastori alla grotta di Betlemme?

Di certo non sappiamo cosa videro i pastori o i magi nel cielo. I Vangeli sono molto più interessati a raccontarci di Gesù che a insegnarci l’astronomia. Forse si trattò di un avvenimento del tutto miracoloso, senza paragoni nell’astronomia comune; o forse di racconti che vogliono rappresentare ed enfatizzare l’evento dell’Incarnazione che ha scosso l’universo. Oppure, ancora, si è verificato qualche raro fatto astronomico che è coinciso divinamente con la nascita di Gesù.

Ma qualcuno avvistò la cometa?

I pastori erano persone semplici che conoscevano le stelle solo perché le vedevano in cielo, ma non erano interessati a calcolare i loro movimenti. Per converso, si può presumere che i magi fossero astronomi e avessero la capacità di calcolare e prevedere le posizioni dei pianeti. Tuttavia, in quanto studiosi della loro epoca, pensavano che i movimenti planetari fossero in qualche modo collegati con gli eventi umani, il che li rendeva anche degli astrologi. Di certo, i pastori potrebbero non aver visto nel cielo le stesse cose dei saggi. Le Scritture ebraiche proibivano, in modo categorico, qualsiasi tentativo di predire la fortuna mediante l’astrologia. E questo potrebbe quindi anche spiegare perché la stella, qualunque fosse, non fu “interpretata” a Gerusalemme come la nascita di un re.

A questo proposito, c’è anche chi periodicamente propone di spostare le lancette e “rimettere” l’ora esatta del Natale.

Gli studiosi moderni riconoscono che è leggermente errata la numerazione degli anni a partire dalla nascita di Gesù – il nostro anno Domini – fatta da Dionigi il Piccolo, nel VI secolo. Basandoci sui Vangeli possiamo collocare la Natività alcuni anni prima dell’anno 4 avanti l’età cristiana, data considerata coincidente con la morte del re Erode. Parimenti, il riferimento ai pastori che curano le greggi all’aperto di notte implica che essa possa essere forse avvenuta in primavera. Di altro non possiamo essere certi.

Quindi tutti i fenomeni verificatisi in quel periodo potrebbero essere la stella di Betlemme?

Secondo alcune ipotesi si trattò di una cometa, di una nova o di una supernova, oppure di una congiunzione di pianeti particolarmente luminosa. In realtà, nelle nostre registrazioni nel periodo coincidente con la nascita di Gesù non è emerso un dato univoco; ma queste non sono del tutto esaustive e vi sono altri indizi annotati da astronomi cinesi che potrebbero essere presi in considerazione. Esistono diverse possibili congiunzioni dei pianeti Saturno e Giove o di quest’ultimo con la stella Regulus, ma non sono così insolite ed è difficile considerarle un evento tale da attrarre astrologi dall’Oriente.

Altre teorie plausibili?

C’è quella suggestiva dell’astronomo Michael Molnar, che suggerisce come la “stella d’Oriente” possa essere una congiunzione di pianeti che sorgono con il sole, una cosiddetta levata eliaca. Egli sottolinea che il 17 aprile dell’anno 6 avanti l’era cristiana i pianeti Venere, Saturno, Giove e la Luna sorsero tutti poco prima del Sole, raggiunti subito dopo da Marte e da Mercurio, al centro della costellazione dell’Ariete. Molnar ipotizza che ciò potrebbe aver implicato per gli esperti del tempo la nascita di un re, da qualche parte vicino alla Siria. In tal caso, comunque, non si sarebbero veramente visti i pianeti, ma solo un astrologo molto capace sarebbe stato in grado di calcolarne le posizioni e ricavare un significato. Non c’è consenso fra astronomi o storici. Ogni teoria ha i propri ferventi sostenitori e oppositori. Non sapremo mai la verità con certezza. E questo è il bello.

Allora ci viene in soccorso la fede.

Il messaggio più profondo della storia dei magi è che la nascita di Gesù ha avuto un significato cosmico. Per mezzo della sua Incarnazione, Dio non solo redime le anime umane, ma – come disse sant’Atanasio – “purifica e rinvigorisce” tutto il creato. Si può essere condotti a Dio dallo studio della sua creazione. Quindi l’impresa stessa di uno scienziato, che cerca la verità nel mondo fisico, è un compito sacro e santo.

“Fides et ratio”, fede e ragione. Che rapporto ha un teologo come Benedetto XVI con l’astronomia?

Tutti i Pontefici più recenti hanno sostenuto la nostra opera presso la Specola, ma il sostegno di Papa Ratzinger è stato speciale. Nel suo discorso all’Angelus del 21 dicembre 2008 è stato forse il primo leader mondiale a riconoscere e a salutare l’Anno internazionale dell’astronomia. Nell’omelia per la solennità dell’Epifania del 2009 vi ha fatto di nuovo riferimento. Il successivo 30 ottobre ci ha reso onore rivolgendo un discorso a un incontro internazionale di astronomi.

Un’attenzione di cui lei ha fatto esperienza diretta.

Per quanto mi riguarda, la prova più concreta del suo interesse per l’astronomia è la nuova sede della Specola nei giardini di Castel Gandolfo, che è stata inaugurata da Benedetto XVI il 16 settembre scorso. Per una felice coincidenza la visita è avvenuta proprio 75 anni dopo il trasferimento della Specola – voluto dal suo predecessore Pio xi – dall’interno della Città del Vaticano alla residenza pontificia estiva a Castel Gandolfo.

Cosa resterà dell’Anno dell’astronomia che si conclude proprio in questi giorni?

È stato un anno molto impegnativo, scandito da numerosi appuntamenti:  dall’inizio a Parigi, fino alle cerimonie conclusive in programma a Padova il 9 e il 10 gennaio prossimi. Tra i più seguiti dal grande pubblico:  la visita guidata in rete al nostro telescopio nell’Arizona meridionale nel corso di un avvenimento denominato “Il giro del mondo in ottanta telescopi”, la serie podcast “I 365 giorni dell’astronomia” e la mostra “Astrum 2009” ai Musei vaticani che proseguirà fino al 16 gennaio.

Insomma, dodici mesi di febbrile attività.

Fra le tante iniziative sono stato particolarmente impegnato nella pubblicazione del libro The heavens proclaim – in italiano L’infinitamente grande – che descrive l’opera della Specola e la storia del sostegno pontificio all’astronomia. Si tratta di un coffee-table book, un volume in edizione pregiata con immagini magnificamente riprodotte dalla Libreria Editrice Vaticana. Ora lo stiamo facendo tradurre in altre lingue, perché grazie a quest’opera gli sforzi promozionali proseguiranno ovunque nel mondo anche dopo la fine dell’Anno dell’astronomia.

Quali sono state le maggiori acquisizioni scientifiche in questo periodo?

In genere deve trascorrere molto tempo prima di sapere qual è stata la più importante scoperta dell’anno. Abbiamo bisogno di una certa prospettiva per vedere cosa è stato davvero importante e cosa si è rivelata una falsa pista. Ci potrebbero volere anni di lavoro per poter apprezzare ciò che abbiamo osservato quest’anno.

Qualche esempio?

Consideriamo la scoperta, nell’ottobre 2008, proprio al di sopra dell’atmosfera della Terra, di un piccolo asteroide che siamo riusciti a seguire fino a quando ha colpito il deserto del Sudan settentrionale. Quest’anno, abbiamo completato e pubblicato i risultati scientifici del rinvenimento dei pezzi nel deserto e della comparazione fra le differenti osservazioni dell’oggetto durante la sua caduta. Secondo me, si è trattato di uno dei risultati più entusiasmanti nell’astronomia planetaria del 2009, anche se l’evento in sé si è verificato l’anno precedente.

Invece noi profani pensavamo all’acqua sulla Luna…

Quella è stata una scoperta particolarmente eccitante:  un veicolo spaziale inviato dall’India nell’orbita intorno al satellite ha trovato negli spettri a infrarossi riflessi dalla superficie la prova dell’esistenza di tracce di acqua. Questo rilevamento è stato confermato quando gli scienziati hanno riesaminato gli spettri misurati da un altro veicolo spaziale passato vicino alla Luna l’anno precedente. Ma attenzione:  la quantità rilevata dal veicolo di passaggio nella polvere della superficie è soltanto una goccia d’acqua per ogni litro di pulviscolo lunare. Tuttavia, pare ci sia un po’ più di acqua sepolta nei crateri in ombra delle regioni polari della Luna.

Acqua sufficiente ad alimentare futuri insediamenti umani?

Probabilmente sì. Abbiamo ipotizzato che l’acqua potesse essere intrappolata in queste regioni che sono estremamente fredde, perché non sono mai esposte al sole, ma è stato rassicurante trovarla veramente lì, dopo aver fatto schiantare un veicolo in uno di quei crateri e aver osservato il materiale che fuoriusciva alla luce del sole.

Una buona notizia, specie in caso di evacuazione forzata del pianeta. Del resto film, oroscopi e libri ci ricordano di continuo che dobbiamo prepararci al peggio.

Gli uomini predicono la fine del mondo fin dagli albori dell’umanità. Finora, nessuna di queste teorie si è rivelata vera. Non c’è alcun motivo di credere che lo siano quelle relative al 2012. Ma mentre è facile ridere di queste sciocche paure, c’è un male più serio dietro di esse:  queste credenze proliferano perché noi tutti siamo tentati dal desiderio di possedere una “conoscenza segreta” del futuro, come se ciò ci rendesse più potenti degli altri. In realtà questo è solo un segnale di cattiva scienza o di cattiva religione.

Ma l’astronomia può prevedere il futuro senza degenerare nell’astrologia?

Direi di sì, ma solo nel senso che l’osservazione dei fenomeni celesti permette di ipotizzare possibili catastrofi di cui dovremmo essere consapevoli. Del resto comete e asteroidi colpiscono continuamente la Terra.

In che senso “continuamente”? Vuol forse iscriversi alla scuola delle cassandre?

Per la maggior parte si tratta di corpi piccoli che passano inosservati, ma un grande evento come quello verificatosi nel 1908 in Siberia, nei pressi di Tunguska, causando un’esplosione paragonabile a quella di una bomba atomica, può accadere una volta ogni cento anni.

Quindi per la legge dei grandi numeri…

Finora gli impatti si sono verificati negli oceani o su terre disabitate, ma prima o poi uno di questi corpi colpirà un’area più densamente popolata. Da una parte, gli impatti più comuni sono i più piccoli, ma dall’altra sono anche quelli più difficili da rilevare prima che si verifichino.

Non è che rischiamo di fare la fine dei dinosauri e non ce ne rendiamo conto?

Un impatto dell’entità di quello che spazzò via i dinosauri 65 milioni di anni fa probabilmente avviene soltanto una volta ogni cento milioni di anni.

Allora perché affannarci con telescopi sempre più sofisticati? Possiamo starcene tranquilli per milioni di anni…

Indipendentemente dalla rarità del fenomeno, vale sempre la pena scrutare i cieli e cercare di determinare se qualcuno dei centomila asteroidi conosciuti può incrociare l’orbita della Terra nel futuro prevedibile. Significa anche che vale la pena impiegare il nostro tempo per comprendere in che modo questi asteroidi e queste comete sono composti, per poter meglio capire come deviarli nel caso dovessero entrare in rotta di collisione con il nostro pianeta.

Comunque prima di preoccuparci di minacce esterne, forse faremmo meglio a preservare la terra dalle devastazioni prodotte dall’uomo.

Di sicuro. Ma il discorso è complesso. Man mano che le aree urbane divengono maggiormente affollate dipendiamo sempre di più dalla tecnologia per sopravvivere. I sistemi idrici e quelli di trattamento delle acque, l’elettricità, il trasporto pubblico sono tutti necessari a tenerci al caldo, nutriti e in salute. In definitiva dipendiamo gli uni dagli altri. Non possiamo vivere egoisticamente perché, di fatto, siamo i custodi dei nostri fratelli.

Lo stesso Benedetto XVI ha dedicato la recente Giornata mondiale della pace al tema “Se vuoi la pace, custodisci il creato”.

Il Papa è consapevole che possiamo causare o impedire disastri ambientali a seconda del modo in cui trattiamo la Terra. Purtroppo, il tema del riscaldamento globale è stato politicizzato e troppi assumono posizioni estreme o basate su motivazioni che prescindono dalla scienza. È vero che oltre all’attività umana molti fattori possono causare il riscaldamento globale, ma gli unici che possiamo controllare sono quelli che dipendono da noi. Per questo non dobbiamo abbandonare il cammino intrapreso per ridurre l’emissione di ossido di carbonio nell’atmosfera.

E nel frattempo?

Niente panico. Bastano due misure precauzionali per aumentare le possibilità di una vita lunga e sana: smettere di fumare e allacciare le cinture di sicurezza.

© L’Osservatore Romano

Lascia una risposta