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News gennaio 2010

Una questione di dignità (umana)

da  L’Osservatore Romano, 31 gennaio 2010

Una questione di dignità (umana)

I doveri del potere nella difesa della vita dal suo concepimento

Nel dibattito bioetico aperto dai progressi delle tecnoscienze una questione decisiva è lo status giuridico dell’embrione, cioè se è anch’esso titolare della dignità umana. Nel testo che pubblichiamo – estratto dal libro Dignità umana e bioetica (a cura di Sara Bignotti, Brescia, Morcelliana, 2010, pagine 96, euro 10, “Il pellicano rosso”, 104) – l’autore dà a questo problema una risposta positiva ed esauriente senza fare ricorso ad argomentazioni di ordine religioso.

di Ernst-Wolfgang Böckenförde

“La dignità dell’uomo è intangibile. Rispettarla e tutelarla è dovere di tutto il potere statale”. Così recita l’articolo 1 paragrafo 1 del Grundgesetz. Non si dice che sia da rispettare e tutelare la dignità della persona, ma si parla della dignità dell’uomo. Essa spetta all’uomo indipendentemente da caratteristiche determinate, da segni distintivi o da capacità in atto; spetta unicamente all’essere uomo, indipendentemente dallo stadio di questo essere uomo. L’articolo 1 del Grundgesetz non nomina alcuna differenza in merito a tale stadio. E la dignità riconosciuta vale tanto per ogni singolo uomo quanto per l’intera umanità:  la formula “dignità dell’uomo” copre entrambi, anche il riferimento agli uomini come genere. È dichiarato ciò che spetta a ogni singolo uomo e all’uomo in quanto tale, cioè una dignità intangibile, e come noi uomini dobbiamo trattare l’uno con l’altro sulla base di questa dignità e come lo Stato debba trattare con gli uomini, cioè nel riconoscimento e nel rispetto di questa dignità.

In che cosa consista questa dignità quanto al contenuto, con il dovere di rispetto a essa associato, può essere controverso nella misura in cui in particolare sono in gioco i casi concreti e i gradi differenziati. Qui esiste a diritto anche il monito a non spiegare il rispetto della dignità umana “in moneta spicciola”, perché questo da ultimo non fa che mettere in questione il rispetto e l’intangibilità fondamentali. Ma ciò che costituisce il nucleo fondamentale di questo principio, in cui risiede la sua essenza normativa, è meno controverso di quanto possa sembrare.

Del resto, Theodor Heuß nei dibattiti in Parlamento ha ritenuto la dignità dell’uomo quale “tesi non interpretata”, e questo è oggi volentieri citato nel conflitto delle opinioni. Eppure egli non sostenne affatto con questa definizione una irrilevanza normativa del principio; in realtà si oppose soltanto alla sua fondazione formale nel diritto naturale, che poteva avere come conseguenza l’assunzione di deduzioni giusnaturalistiche. Al di là dei diversi princìpi assunti per determinare il significato di dignità umana, si mostrò già in Consiglio parlamentare, e anche in seguito, un nucleo fondamentale comunemente riconosciuto. Esso si può parafrasare con la formula mutuata da Kant di “fine in se stesso” o con quella interpretazione data dalla Corte Costituzionale Federale di “essere (Dasein) per se stesso”.

In ciò sono compresi la posizione e il riconoscimento dell’uomo quale soggetto individuale, la libertà di uno sviluppo proprio, l’esclusione della sua strumentalizzazione a mo’ di cosa di cui si possa disporre tout court, ovvero, in termini positivi, il diritto ad avere diritti da rispettare e tutelare. Di fatto, è indiscutibile che la dignità in questo senso spetti a ogni singolo uomo, a noi tutti, che stiamo l’uno di fronte all’altro, e spetti all’uomo con cui noi trattiamo, discutiamo o che noi educhiamo, e trovi la sua espressione nel riconoscimento di questa dignità. Questa dignità degli uomini viventi l’aveva ben presente anche il Parlamento. A ciò bisogna collegare la questione, discussa in maniera controversa, fin dove debba estendersi questo riconoscimento della dignità umana all’interno del processo biologico di ogni uomo, affinché rimanga autentica. È sufficiente, come si sostiene, che il riconoscimento e il rispetto della dignità inizino solo a un punto stabilito nel processo biologico dell’uomo, pur rimanendo questo processo biologico previamente disponibile, oppure questo riconoscimento e rispetto devono sussistere fin dall’origine, ossia al primo inizio di questa vita umana? Solo quest’ultimo può essere il caso, se l’essere (Dasein) deve rimanere essere per se stesso e non diventare una vuota declamazione. La dignità, che contrassegna un’esistenza nel suo stadio compiuto, non può disgiungersi né separarsi dalla propria storia, deve piuttosto comprenderla.

Quando infatti si cerca di escludere una fase determinata del processo biologico dal riconoscimento e dal rispetto, che all’uomo è dovuto in ragione della sua dignità, o di differenziare in senso processuale questo rispetto, perché ad esempio sia apparsa o non lo sia una 8ª o 16ª cellula o non si sia ancora giunti all’impianto, si viene a produrre un vuoto nello sviluppo del singolo individuo. Se il rispetto della propria dignità deve valere per ogni uomo in quanto tale, esso deve allora essergli attribuito fin dal principio, dal primo inizio della sua vita, e di qui deve essere esteso non solo dopo un lasso di tempo, a cui egli – non protetto contro strumentalizzazioni e trattamento ad libitum – sia forse fortunosamente sopravvissuto. Su questo piano diventano allora rilevanti le conoscenze e i dati della scienza naturale, vale a dire non come causa e fondamento, ma come sostrato per l’uso di una argomentazione e valutazione giuridicamente normativa.

Ora, questo primo inizio di una vita propria dell’uomo in sé formato e sviluppato però si trova allora nella fecondazione, non più tardi. Con essa si forma una coppia (gegenüber) di uno spermatozoo e un ovulo, che sono anch’essi forme di vita umana, di un essere vivente umano nuovo e a sé stante. Esso è contrassegnato in modo inconfondibile e individuale attraverso la combinazione di gruppi di cromosomi stabiliti così e non diversamente. È questo, dal punto di vista indiscusso delle scienze naturali, il fondamento biologico dell’uomo singolo. Lo sviluppo successivo, spirituale e psichico, è già fondato in concomitanza in ciò; l’uomo è una unità di corpo-spirito-anima. Dopo che è fissato il gruppo dei cromosomi individuale, non avviene infatti alcuna svolta nelle qualità di ciò che si sviluppa. Il programma genetico di sviluppo si presenta ultimato, non ha bisogno di alcun altro completamento:  qui dall’interno esso si dispiega nel corso del processo biologico, secondo il criterio della propria organizzazione. E questo appunto è il segno caratteristico che costituisce un organismo umano:  è la forma impressa che vivendo si sviluppa. Tutto questo però non può accadere senza molteplici aiuti dall’esterno, che operano dando l’impronta anche da parte loro – come l’apporto della nutrizione, il contatto e lo scambio con l’organismo materno, e altro ancora. Ma queste non sono altro che condizioni necessarie per (dare) la possibilità dello sviluppo proprio, spontaneo, e non cioè questo stesso; ed esso sussiste non solo dalla nascita, ma continua a sussistere in parte anche, ancora più a lungo, dopo la nascita. È un dato di fatto, che però non neutralizza il suo inizio con la fecondazione, che la natura possa influire ancora ulteriormente sul processo biologico nel suo svolgimento – per esempio tramite l’impianto (Nidation) – e dargli termine improvvisamente. Questo è pienamente evidente. Non di rado i genitori sanno anzi precisamente da quale loro amplesso la loro figlia o figlio siano originati. Da questo istante – cioè dalla fecondazione, non per esempio dall’impianto posteriore o dalla formazione della corteccia cerebrale – si data per loro l’inizio biologico del loro figlio. L’inizio della vita umana con la fecondazione così non è assolutamente contro-intuitivo.

Se all’embrione umano spetta la tutela della dignità umana e perciò anche il diritto alla vita, ciò non dipende da una specie di fondamentalismo ontologico, neanche dall’interrogativo se possa già essere qualificato come persona una 8ª o 16ª cellula. È decisivo piuttosto che il riconoscimento della dignità dell’uomo – come il Grundgesetz lo dichiara secondo il suo contenuto normativo – se non viene arbitrariamente ridotto, comprenda anche i primordi della vita di ciascun uomo, si debba estendere a essi. L’embrione umano viene compreso entro la tutela della dignità umana anche nella sua prima e primissima fase biologica:  esso è da rispettare e trattare come un titolare della dignità umana e del diritto alla vita.

© L’Osservatore Romano

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