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News novembre 2009

Il segreto della Specola Vaticana? Non lavora per denaro

da L’Osservatore Romano,  12 novembre 2009

Il segreto della Specola Vaticana? Non lavora per denaro

A colloquio con l’astronomo gesuita Guy J. Consolmagno

di Fabio Colagrande

In coincidenza con l’Anno dell’astronomia i gesuiti della Specola Vaticana hanno curato la pubblicazione di un libro divulgativo sulla loro attività scientifica dal titolo L’infinitamente grande. L’Astronomia e il Vaticano. Il volume è stato curato da uno dei membri dell’Osservatorio astronomico vaticano, il gesuita statunitense Guy J. Consolmagno (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2009, pagine 231, euro 29,90; l’edizione inglese – edita da Our Sunday Visitor – s’intitola The Heavens Proclaim. Astronomy and the Vatican). Un’iniziativa editoriale per rispondere alle domande che più di frequente questi religiosi scienziati si sentono rivolgere: “Perché il Vaticano s’interessa allo studio dell’Astronomia?” e “Che relazione c’è tra scienza e fede?”. Nel testo anche la vicenda della riforma del calendario, il caso Galileo Galilei, la storia della Specola, oltre a una presentazione dei principali campi di ricerca degli astronomi vaticani e dei risultati da loro raggiunti. Il volume è stato presentato a Benedetto XVI dal direttore della Specola, padre José Gabriel Funes, in occasione della visita del Papa ai nuovi locali dell’Osservatorio Vaticano a Castel Gandolfo, lo scorso 16 settembre. “Prima di tutto la visita del Papa – ci ha detto Consolmagno – si è inserita in una meravigliosa tradizione. Da Leone xiii in poi i Papi hanno sempre visitato la Specola come segno dell’interesse per il nostro lavoro. Ma è stato anche un momento in cui abbiamo potuto mostrare a Benedetto XVI le novità su cui stiamo lavorando e la nostra nuova sede nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo di cui siamo molto fieri”.

In più, il libro uscito in occasione dell’Anno dell’astronomia.

A dire il vero l’idea è stata del cardinale Giovanni Lajolo, il Presidente del Governatorato della Città del Vaticano. È venuto da noi proponendoci di pubblicare un libro sulla nostra attività. Non credo che avesse considerato che il libro sarebbe uscito in coincidenza con l’Anno dell’astronomia, ma è stata una felice coincidenza.

Il volume è ricco di fotografie dello spazio suggestive ma anche di grande interesse scientifico. Come sono state raccolte?

La maggior parte delle immagini che abbiamo utilizzato sono state realizzate con i nostri telescopi e con la nostra strumentazione o da ricercatori che abbiamo ospitato e che hanno lavorato con noi. Sono foto che illustrano molto bene il lavoro che svolgiamo. Non è stato difficile raccoglierle. Come astronomi non lavoriamo mai da soli, ma sempre in collaborazione con altri studiosi di diverse nazioni e istituzioni. Questi ultimi sono stati felici di cederci le loro fotografie.

Pur essendo la Specola un osservatorio di medie dimensioni il vostro lavoro è apprezzato dal punto di vista internazionale.

Io credo che ciò dipenda soprattutto da motivi pratici. Essendo un’istituzione vaticana noi non dobbiamo competere con altri osservatori concorrenti per ottenere fondi da istituzioni governative. Questo significa due cose: prima di tutto che possiamo lavorare su ciò che troviamo più interessante e non su progetti che ci vengono imposti da eventuali finanziatori. Inoltre possiamo dedicarci a ricerche che possono andare avanti per cinque, dieci o persino quindici anni prima di ottenere risultati. Di solito un ricercatore deve pubblicare velocemente i risultati del suo lavoro, se non vuole rischiare di perdere il posto. Chi lavora alla Nasa deve dare conto continuamente dei risultati e dei progressi ottenuti con le proprie ricerche per non perdere i finanziamenti. Noi invece possiamo dedicarci a una ricerca scientifica di lungo periodo che ha bisogno anche di diversi anni di lavoro prima di giungere a un risultato. È quel tipo di ricerca fondamentale di cui tutti hanno bisogno ma che nessuno finanzia.

Forse però il vostro lavoro non è abbastanza conosciuto?

È per questo che abbiamo voluto pubblicare questo volume. Quando Papa Leone xiii creò la Specola Vaticana una delle sue motivazioni fu quella di mostrare al mondo che la Chiesa sostiene e promuove la vera scienza. E per assolvere questo mandato noi non abbiamo solo l’obbligo di svolgere il nostro lavoro scientifico, ma dobbiamo anche renderlo pubblico e quindi condividerlo. Un compito di divulgazione che compiamo volentieri e con passione, perché i cieli sono così belli che è impossibile non condividere ciò che vediamo e apprendiamo.

Lo sguardo con cui un astronomo credente scruta lo spazio è differente da quello degli altri scienziati?

La scienza è esattamente la stessa. Ubbidiamo alle stesse leggi scientifiche e pubblichiamo sulle stesse riviste. La differenza è nella motivazione. Noi non lavoriamo per produrre denaro od ottenere prestigio personale. Lavoriamo semplicemente per amore della scienza. E certamente è quello che vorrebbero fare anche tanti altri studiosi, ma è meraviglioso che qui in Vaticano noi possiamo realizzare questo desiderio senza dover affrontare tanti altri problemi.

In particolare lei ha approfondito lo studio della raccolta di meteoriti della Specola. Che soddisfazioni le ha dato studiare quelli che lei chiama nel libro “Alieni in Vaticano”?

È stato ed è davvero emozionante. Prima di diventare gesuita studiavo questo argomento basandomi sulle ricerche e i risultati di altri scienziati, ma da quando sono alla Specola ho la straordinaria possibilità di utilizzare dati che ottengo da esemplari che io stesso posso maneggiare. Prendo spesso in giro i miei colleghi astronomi dicendo loro che s’illudono di studiare le stelle e le galassie ma in realtà tutto ciò che analizzano è solo la luce di quei corpi celesti, mentre io maneggio veri e propri frammenti di pianeti provenienti dallo spazio. Posso misurarli, sfiorarli, ammirarli perché li ho tra le mani. È emozionante e allo stesso tempo mi fa sentire umile ricordare che la volta celeste sopra la mia testa non è uno scudo impenetrabile che ci separa dai “Cieli” come si pensava nel medioevo.

© L’Osservatore Romano

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