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Papa Francesco ai giovani: seguire la fede, non gli egoismi sociali

papa francesco

papa francescoNel proprio discorso in piazza del Popolo a Cesena, domenica, 1 ottobre 2017, il Santo Padre ha ricordato quanto siano importanti per la Chiesa Cattolica i giovani, che rappresentano il nostro futuro, e le famiglie.  Entrambi hanno il dovere di testimoniare il Vangelo, e allo stesso tempo il diritto di essere aiutati e indirizzati per il bene, e per fare crescere la fede, la Chiesa stessa e la società. Il Pontefice è in visita pastorale a Cesena per il terzo centenario della nascita di Papa Pio VI, e a Bologna per la conclusione del Congresso eucaristico diocesano.

“Tra quanti hanno più bisogno di sperimentare questo amore di Gesù – ha affermato Papa Francesco spiegando la ragione del suo intervento – ci sono i giovani” i quali “grazie a Dio [..] sono parte viva della Chiesa” e proprio per questo saranno direttamente coinvolti nella prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi. Giovani che, ha spiegato il Santo Padre, “possono comunicare ai coetanei la loro testimonianza”, diventando “giovani apostoli dei giovani, come scrisse il beato Paolo VI nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (cfr n. 72)”.

Il Pontefice ha sottolineato anche quanto la Chiesa conti sui giovani e sia “consapevole delle loro grandi risorse, della loro attitudine al bene, al bello, alla libertà autentica e alla giustizia”. Allo stesso tempo però, ragazzi e ragazze “hanno bisogno di essere aiutati a scoprire i doni di cui il Signore li ha dotati, incoraggiati a non temere dinanzi alle grandi sfide del momento presente”, in particolare in una società materialistica e individualistica come quella attuale.

Per tale ragione, Papa Francesco esorta gli adulti, educatori e non, ad “incontrarli, ad ascoltarli, a camminare con loro, perché possano incontrare Cristo e il suo liberante messaggio di amore” e testimoniare la fede in Lui. Perché proprio “nel Vangelo e nella coerente testimonianza della Chiesa i giovani possono trovare quella prospettiva di vita che li aiuti a superare i condizionamenti di una cultura soggettivistica che esalta l’io fino a idolatrarlo – quelle persone si dovrebbero chiamare “io, me, con me, per me e sempre con me” – e li apra invece a propositi e progetti di solidarietà”.

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