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Inquinamento: microplastiche nella catena alimentare

Inquinamento, krill, Meganyctiphanes norvegica, Øystein Paulsen - MAR - ECO

I rischi da inquinamento da plastica e microplastiche, spiega un articolo su Nature Communications, sono peggiori e più subdoli di quanto si pensasse finora.

Lo spiega sulla rivista scientifica britannica l’articolo Turning microplastics into nanoplastics through digestive fragmentation by Antarctic krill – Trasformazione delle microplastiche in nanoplastiche attraverso la frammentazione digestiva del krill antartico. L’articolo espone lo studio realizzato da ricercatori della  Griffith University di Brisbane, Australia. Spiegando che il krill antartico – Euphausia superba – una delle creature marine alla base della catena alimentare degli oceani, scompone in frammenti le microplastiche che ingerisce. Che da dimensioni di 31,5 μm – millesimi di millimetro, arrivano ad un diametro inferiore a 1 μm – millesimo di millimetro. Diventando persino difficili da individuare negli organismi esaminati dai ricercatori.

A poco più di due mesi dal World Oceans Day – per il 2018 verrà celebrato l’8 giugno – emergono quindi informazioni scientifiche preoccupanti per il futuro del pianeta e dei nostri oceani. Come noto, i piccoli crostacei invertebrati catalogati come krill sono infatti alla base dell’alimentazione degli uccelli acquatici, delle balene, e di pesci cartilaginei come mante e squali balena. Ma anche del pesce azzurro, entrando così  pure nella catena alimentare umana. Il krill viene utilizzato anche in allevamenti di pesci per il consumo umano o animale. E le popolazioni di alcuni paesi, come il Giappone, lo consumano direttamente come cibo. Non essendo dimostrato che le microplastiche, una volta digerite e frammentate dal krill, vengano tutte espulse, appare molto probabile che entrino nella catena alimentare.

L’inquinamento da microplastiche contaminerebbe anche altri microorganismi, di dimensioni inferiori al krill

Inoltre, quando espulse, le microplastiche sono certamente ingerite da organismi più piccoli. Che sono ugualmente fonte di cibo di pesci e mammiferi marini, compresi pesci abissali. A novembre 2017 ne parlava  su Phys.org l’articolo Man made fibres and plastic found in the deepest living organisms. Ricercatori della Newcastle University, guidati dal Dr Alan Jamieson, annunciavano di aver individuato microplastiche nello stomaco di creature oceaniche della Fossa delle Marianne, ad una profondità di 11 km.

I precedenti studi sull’inquinamento marino da plastica e microplastiche, e sugli effetti sull’alimentazione della fauna ittica, spiega l’articolo, potrebbero quindi aver sottovalutato il problema. Semplificando “eccessivamente le interazioni tra zooplancton e microplastiche”. E l’inquinamento da plastiche sarebbe quindi molto più pericoloso e pervasivo di quanto facciano pensare fenomeni come l’isola di plastica  nell’Oceano Pacifico, grande tre volte la Francia. Lo studio pubblicato su Nature Communications è stato realizzato da Amanda L. Dawson, So Kawaguchi, Catherine K. King, Kathy A. Townsend, Robert King, Wilhelmina M. Huston e Susan M. Bengtson Nash. Immagine: krill, Meganyctiphanes norvegica, by Øystein Paulsen – MAR – ECO, fonte Wikipedia.

Sullo stesso tema vedi pure Nature: l’inquinamento ambientale modifica i geni e causa malattie

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