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News dicembre 2009

Un nuovo telescopio che punti sul senso delle cose

da  L’Osservatore Romano, 6 dicembre 2009


Teologia, scienza e filosofia in dialogo sul cosmo

Un nuovo telescopio che punti sul senso delle cose

Si è svolto nei giorni scorsi a Roma un congresso internazionale organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Pontificia Università Lateranense sul tema “1609-2009. From Galilei’s telescope to evolutionary cosmology. Science, philosophy and theology in dialogue”. Pubblichiamo un estratto dall’intervento dell’arcivescovo rettore della Lateranense.

di Rino Fisichella

Una concezione cosmologica moderna procede a mostrare l’universo non solo secondo i dati che acquisisce sperimentalmente – per quanto le sia possibile – ma anche elaborando teorie che hanno una valenza tipicamente antropologica. Materia, spazio-tempo, movimento, causalità non sono estranei all’autocomprensione che l’uomo ha di sé e di quanto lo circonda. Le leggi che la cosmologia produce in riferimento all’universo non possono essere semplicemente identificate con tutto ciò che accade in esso; sarebbe un’identificazione gratuita e per nulla scientifica perché impossibile di verifica. Solo per esemplificare assumo la concezione di alcuni astrofisici secondo i quali i fenomeni di formazione stellare dureranno ancora per circa cento miliardi di anni, dopo i quali l'”era delle stelle” inizierà a declinare, in un periodo compreso fra dieci e cento billioni di anni, quando le stelle più piccole e longeve dell’universo, le deboli nane rosse termineranno il loro ciclo vitale. A conclusione dell’era delle stelle, le galassie saranno composte solo da oggetti compatti:  nane brune, nane bianche, tiepide o fredde (nane nere), stelle di neutroni e buchi neri, così da giungere alla cosiddetta “era degenere” dell’universo. Alla fine, come risultato della relazione gravitazionale, tutte le stelle potrebbero precipitare all’interno del buco nero supermassiccio centrale, oppure potrebbero essere scagliate nello spazio intergalattico in seguito a collisioni. Questa visione, benché lontana nel tempo, è pura teoria e, comunque, evidenzia che si giunge a una fine alla quale si deve dare una risposta. L’uomo posto dinnanzi alla fine del proprio mondo non può soprassedere come se nulla fosse o come se la questione non lo toccasse in prima persona. Ha necessariamente bisogno di dare anche a una teoria come questa la sua interpretazione perché – piaccia o no – riporta alla questione fondamentale del senso.

Qui entra in gioco direttamente anche la teologia. Il sapere teologico non è fermo alla visione biblica della creazione del mondo. Il teologo sa che questa pagina è pur sempre soggetta a interpretazione perché esprime una modalità attraverso cui l’autore sacro ha messo a disposizione la propria conoscenza del momento. In questa prospettiva, è il caso di fare un accenno a sant’Agostino, il quale con la lungimiranza e profondità del suo pensiero permane ancora ai nostri giorni come un vero maestro di sapienza. È sufficiente andare a un testo poco conosciuto quale il De Genesi ad litteram per comprendere il rapporto che Agostino intuiva si dovesse avere con la scienza proprio sulle questioni cosmologiche. Egli critica i cristiani che su questioni “scientifiche” si rifanno ai testi sacri interpretandoli alla lettera e afferma che tale metodologia è un danno sia per la corretta interpretazione della Sacra Scrittura sia per la credibilità della fede:  “Accade infatti assai spesso che, riguardo alla Terra, al cielo, agli altri elementi di questo mondo, al moto e alla rivoluzione o anche alla grandezza e distanza degli astri, intorno alle eclissi del Sole e della Luna, al ciclo degli anni e delle stagioni, alla natura degli animali, delle piante, delle pietre e di tutte le altre cose di tal genere, anche un pagano abbia tali conoscenze da sostenerle con ragionamenti indiscutibili e in base a esperienza personale. Orbene, sarebbe una cosa assai vergognosa e dannosa e da evitarsi a ogni costo, se quel pagano sentisse (un cristiano) parlare di questi argomenti conforme – a suo parere – al senso delle Scritture cristiane dicendo invece tali assurdità che, vedendolo sbagliarsi per quanto è largo il cielo, non potesse trattenersi dal ridere. Ma è spiacevole non tanto il fatto che venga deriso uno che sbaglia, quanto il fatto che da estranei alla nostra fede si creda che i nostri autori sacri abbiano sostenuto tali opinioni e, con gran rovina di coloro, della cui salvezza noi ci preoccupiamo, vengano biasimati come ignoranti e rigettati”.

Come si nota da questa semplice esemplificazione la nostra grande tradizione di sapienza è in sintonia con l’autentico progresso scientifico e con il coerente rapporto tra fede e ragione. Quando venne a mancare questa sintonia e il teologo cadde nella trappola della sola spiegazione razionale, allora iniziarono guai seri per la stessa credibilità dei contenuti della fede. Per ritornare alla nostra questione, ciò che permane immutato è certamente per noi l’atto creativo di Dio che tenta di dare risposta alla domanda:  perché esiste qualcosa e non il nulla? L’universo intero, nella sua pienezza è opera di un progetto del Creatore che liberamente pone in essere così che tutto dipende da lui perché è il fondamento dell’intera creazione. La comprensione di un Dio personale che ama e per questo dal nulla pone in essere il creato, al culmine del quale colloca l’uomo, è una risposta che non annulla la conoscenza modificata dell’universo, al contrario. In essa la teologia vede la necessità di comprendere come sia possibile parlare di materia, di energia e di divenire a cui è necessario dare un fondamento e questo, per la fede, è solo Dio.

Come ha detto Benedetto XVI nel Messaggio che ha rivolto a questo congresso:  “Al di là probabilmente delle sue intenzioni, la scoperta dello scienziato pisano permetteva anche di risalire indietro nel tempo, provocando domande circa l’origine stessa del cosmo e facendo emergere che anche l’universo, uscito dalle mani del Creatore, ha una sua storia (…) Anche oggi l’universo continua a suscitare interrogativi a cui la semplice osservazione, però, non riesce a dare risposta soddisfacente. L’analisi dei fenomeni, infatti, se rimane rinchiusa in se stessa rischia di far apparire il cosmo un enigma insolubile”. Qualcosa, insomma, sfuggirà sempre e non sarà capace di soddisfare pienamente la mente che vuole interrogare circa l’origine e la fine. Rimangono a nostro avviso cariche di significato le parole che Giovanni Paolo II rivolgeva proprio agli scienziati quando, a conclusione della sua Fides et ratio scriveva:  “Non posso non rivolgere una parola anche agli scienziati, che con le loro ricerche ci forniscono una crescente conoscenza dell’universo nel suo insieme e della varietà incredibilmente ricca delle sue componenti, animate e inanimate, con le loro complesse strutture atomiche e molecolari. Il cammino da essi compiuto ha raggiunto, specialmente in questo secolo, traguardi che continuano a stupirci. Nell’esprimere la mia ammirazione e il mio incoraggiamento a questi valorosi pionieri della ricerca scientifica, ai quali l’umanità tanto deve del suo presente sviluppo, sento il dovere di esortarli a proseguire nei loro sforzi restando sempre in quell’orizzonte sapienziale, in cui alle acquisizioni scientifiche e tecnologiche s’affiancano i valori filosofici ed etici, che sono manifestazione caratteristica e imprescindibile della persona umana. Lo scienziato è ben consapevole che la ricerca della verità, anche quando riguarda una realtà limitata del mondo o dell’uomo, non termina mai; rinvia sempre verso qualcosa che è al di sopra dell’immediato oggetto degli studi, verso gli interrogativi che aprono l’accesso al Mistero”.

In una parola, la domanda di senso permane comune alle tre scienze con le quali ci stiamo confrontando. È questa che merita di essere posta alla base per ritrovare un denominatore comune che, pur lasciando ognuna nella peculiarità della propria ricerca e metodologia, le unisce nel tentativo di mettere insieme i risultati raggiunti per sfociare in una visione d’insieme. Per paradossale che possa sembrare, dinnanzi alla permanente domanda sul senso della vita e del creato, è giunto il momento di scoprire un nuovo telescopio che sappia focalizzare in maniera coerente la risposta che soddisfi l’esigenza umana senza rinviare sempre oltre, verso ipotesi che possono affascinare senza giungere a una risposta definitiva. Ripensare la vita, questa è la grande sfida che deve unire tutti per dare una risposta carica di senso al perché del cosmo e, soprattutto, dell’uomo in esso.

© L’Osservatore Romano

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