La questione dell’esistenza o meno del libero arbitrio non è solo è una sfida per la scienza e per la filosofia: implica anche grandi difficoltà nel definire un corretto dialogo tra fede e ragione, che diventa impossibile in una visione materialista e riduzionista della nostra mente e della nostra coscienza. Perché se all’estremo, come ipotizzano neuroscienziati e filosofi riduzionisti e materialisti, non fossimo liberi di scegliere chi siamo e cosa facciamo, e le nostre esistenze e le nostre scelte fossero determinate da semplici fattori genetici o al limite epigenetici, ovvero dall’ambiente in cui cresciamo e viviamo, anche la fede diventerebbe una mera questione di predisposizione genetica, o di educazione.
Ma se c’è chi crede perché il dna glielo impone, e non per scelta o perché ha il dono della fede, allora anche chi non crede sarebbe ateo o agnostico per la stessa ragione genetica, e non per una scelta intellettuale o perché eventualmente dotato di una maggiore razionalità rispetto ai credenti. Questo è il paradosso in cui cadono scienziati e filosofi con un approccio materialista alla nostra mente e alla nostra coscienza, e che si ripropone ogni volta che si vuole ridurre solamente alla chimica e alla biologia, e alle nostre connessioni neurali, quelle che sono le nostre scelte, i nostri sentimenti, e lo stesso sentimento religioso.
Su un percorso simile si muove a nostro avviso un articolo – post di questi giorni sul blog di Scientific American: What Neuroscience Says about Free Will, ripubblicato in Italia da Le Scienze: Libero arbitrio: cosa dicono le neuroscienze. In più, il sottotitolo e il testo dell’articolo sembrano dare per scontato che il libero arbitrio non esista, e che lo studio di cui si parla abbia dimostrato tale ipotesi: “We’re convinced that it exists, but new research suggests it might be nothing more than a trick the brain plays on itself” – “Siamo convinti che il libero arbitrio esista, ma una nuova ricerca suggerisce che sia solamente il frutto di un autoinganno del nostro cervello”.
In realtà la questione, come sempre avviene, è più complessa: si parla di una “illusione postdittiva della nostra mente”, che rielaborando azioni che compiamo automaticamente, ci induce invece a ritenere che le abbiamo compiute per una scelta razionale e motivata; oppure osservando il movimento di un corpo fisico in un determinato spazio e tempo, ci porta a dedurne e apparentemente visualizzarne il movimento più completo, prima e dopo, ovvero lo spazio che ha percorso prima che lo osservassimo e quello che percorrerà dopo.
Lo studio, che non è confermato, è sicuramente interessante: potrebbe infatti spiegare come funziona la nostra mente in situazioni in cui effettivamente compiamo azioni istintive o automatiche, come potrebbe essere guidare l’auto, almeno in certi momenti. Resta però da capire come tale scoperta sia estendibile e applicabile ad ogni azione che compiamo o pensiero che formuliamo, o alle scelte che comunque facciamo, quotidianamente o soprattutto nelle decisioni importanti della nostra vita.
Per non dire, molto semplicemente, che ad esempio non si capisce dove siano l’automatismo e l’assenza di libera volontà quando si impara a suonare uno strumento, o a scrivere; oppure imparando movimenti di uno sport o di una disciplina complessa come la danza o le arti marziali; o quando si apprende a pilotare un aereo, o un’auto di formula 1; oppure si impara a progettare un circuito elettronico. A meno che non si volesse credere che queste e altre azioni complesse siano tutte azioni automatiche, iscritte nel nostro Dna, e che l’apprendimento quindi non sia tale, ma sia solo una illusione.
Per non dire che pilotare ad esempio un aereo in maniera apparentemente automatica, richiede decine se non centinaia di ore di addestramento; e che è difficile credere che tutte le azioni che possano presentarsi ad un pilota, da condizioni meteo avverse ad imprevisti di varia natura, se non guasti o emergenze anche gravi, siano già previste o prevedibili nella nostra mente. Dovrebbero anche essere gestibili, altrimenti non ci sarebbero incidenti aerei.
Basterebbe comunque leggere gli ultimi paragrafi dell’articolo per capire come le conclusioni derivabili dallo studio non siano invece affatto conclusive: “L’illusione può riguardare solo a un piccolo insieme delle nostre scelte, fatte in fretta e senza pensarci su troppo. O può essere pervasiva e onnipresente, così da governare tutti gli aspetti del nostro comportamento, dalla nostre decisioni più insignificanti a quelle più importanti. Molto probabilmente, la verità sta nel mezzo”.
Su un fronte opposto, suggeriamo, a chi fosse interessato a questi temi, la lettura del libro del filosofo Alfred Remen Mele: Free: Why Science Hasn’t Disproved Free Will – Liberi: perché la scienza non ha confutato il libero arbitrio, ISBN 0199371628. Pubblicato nel 2014 da Oxford University Press, il libro ha invece l’obiettivo di dimostrare come il libero arbitrio non solo esista, ma finora gli scienziati non sia riusciti a dimostrare il contrario.
Precisiamo che a titolo esemplificativo anche noi abbiamo volutamente utilizzato in parte, in questo articolo, un meccanismo simile all’articolo segnalato, per suscitare maggiore interesse: il titolo non anticipa esattamente ciò di cui parla il testo, dal momento che la questione della libertà nella fede o nell’ateismo non è quella principalmente esaminata.
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