Quest’anno ricorrono i 90 anni dalla scomparsa del medico dei poveri, morto a Napoli il 12 aprile del 1927. Medico, studioso, docente, ha sempre vissuto la propria vita personale e professionale sulla concezione di un rapporto inscindibile tra scienza e religione. Considerando il proprio lavoro come medico come una missione al servizio dei sofferenti e della società. Beatificato da Papa Paolo VI durante l’Anno Santo del 1975, San Giuseppe Moscati è stato canonizzato da Papa Giovanni Paolo II nel 1987. Nato in provincia di Avellino il 25 luglio del 1880, si era laureato a pieni voti in medicina nel 1903.
Considerava inesistente e la contrapposizione tra fede e ricerca scientifica. Una contrapposizione che doveva anzi essere evitata, dal momento che sia la medicina che la fede sono elementi che contribuiscono e devono contribuire al benessere delle persone, e che mentre la scienza è in costante progresso e può smentire sè stessa, superata da nuove scoperte, le verità di fede sono immutabili e non hanno necessità o possibilità di conferma o disconferma, o di critica per chi crede.
Una concezione sintetizzabile in un breve paragrafo di una lettera ad un suo allievo, Agostino Consoli, nel luglio del 1922. “Il progresso – scrive infatti Moscati – sta in una continua critica di quanto apprendemmo. Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata da Dio, la scienza dell’al di là”. Ma Giuseppe Moscati, definito anche padre della medicina nuova e fondatore della cosiddetta scuola medica napoletana, è stato anche un importante ricercatore, apprezzato in tutto il mondo come medico, clinico e studioso, autore di numerosi studi che hanno fatto la storia della medicina italiana e internazionale.
Nell’omelia per la cerimonia in Piazza San Pietro per la canonizzazione di Moscati, il 25 ottobre del 1987, Papa Giovanni Paolo II disse di lui: “Per indole e vocazione il Moscati fu innanzitutto e soprattutto il medico che cura: il rispondere alle necessità degli uomini e alle loro sofferenze, fu per lui un bisogno imperioso e imprescindibile. Il dolore di chi è malato giungeva a lui come il grido di un fratello a cui un altro fratello, il medico, doveva accorrere con l’ardore dell’amore. Il movente della sua attività come medico non fu dunque il solo dovere professionale, ma la consapevolezza di essere stato posto da Dio nel mondo per operare secondo i suoi piani, per apportare quindi, con amore, il sollievo che la scienza medica offre nel lenire il dolore e ridare la salute”. Immagine: Wikipedia.
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