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Galileo Galilei e l’abiura del 22 giugno 1633 : una ferita tra fede, scienza e ragione

Galileo Galilei

L’anniversario dell’abiura di Galileo ci ricorda un capitolo drammatico della storia europea, ma anche l’evoluzione del dialogo tra Chiesa e scienza nei secoli

Il 22 giugno 1633, Galileo Galilei fu costretto ad abiurare pubblicamente le sue convinzioni eliocentriche. La scena si svolse nel convento romano di Santa Maria sopra Minerva, sede temporanea del Sant’Uffizio. In quel momento storico, si compiva uno degli atti più simbolici della tensione tra scienza emergente e autorità religiosa, tra libertà del pensiero e difesa della tradizione teologica.

Galileo, fisico, matematico e astronomo toscano, sosteneva il sistema copernicano: la Terra ruota attorno al Sole e non viceversa. Ma nel contesto del XVII secolo, questa tesi appariva pericolosamente contraria a una certa interpretazione delle Scritture. Dopo un lungo processo, il 70enne scienziato fu costretto a pronunciare la sua abiura, dichiarando pubblicamente di aver “abbandonato, maledetto e detestato” le sue opinioni.

Scienza e fede : uno scontro inevitabile ?

Molto spesso, la vicenda di Galileo è stata interpretata come uno scontro frontale e irriducibile tra fede e scienza. In realtà, si trattò di un conflitto di epoche, linguaggi e metodi di conoscenza. La Chiesa del tempo, pur ospitando molti uomini di scienza, era ancora legata a un modello aristotelico-tolemaico dell’universo, dove ogni mutamento cosmologico sembrava mettere in discussione l’ordine teologico e antropologico.

Galileo, d’altra parte, non fu mai un ateo né un nemico della fede. Era un credente, e nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo non negava l’autorità delle Scritture, ma sosteneva che la Bibbia insegna “come si va in cielo, non come va il cielo”. Per Galileo, la ragione e l’osservazione erano strumenti dati da Dio per comprendere la natura, libro scritto con il linguaggio della matematica.

Una ferita che ha generato coscienza

L’abiura del 1633 fu una ferita per la libertà scientifica, ma anche un momento decisivo nella presa di coscienza delle autonomie reciproche tra scienza e religione. Non si trattava di stabilire un vincitore, ma di riconoscere i limiti del metodo teologico e di quello scientifico quando invadono campi non propri.

Col tempo, la Chiesa ha riconosciuto gli errori storici. Nel 1992, Giovanni Paolo II dichiarò ufficialmente che “i teologi che condannarono Galileo non percepirono la distinzione tra il dato della fede e la sua interpretazione”, sottolineando la necessità di un dialogo continuo tra fede e ragione.

Una lezione per il presente

A distanza di quasi quattro secoli, il caso Galileo ci parla ancora. In un mondo dominato da tecnoscienza e sfide etiche globali, il confronto tra sapere scientifico e sapienza spirituale non è mai stato così necessario. La fede, intesa come apertura al Mistero e alla verità ultima, non si oppone alla scienza, ma la accompagna, la orienta, la interpella.

Galileo oggi è riconosciuto non solo come padre della scienza moderna, ma anche come simbolo della legittima autonomia della ragione. La sua vicenda invita a promuovere un dialogo rispettoso e fecondo tra tradizione religiosa e ricerca scientifica: due ali che, insieme, possono elevare l’anima umana verso la verità.

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