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Il processo Scopes : fede, scienza e la sfida di armonizzare ragione e verità

John Scopes 1925 Smithsonian Institution

Nel 1925 il processo Scopes, noto come Monkey Trial, divenne simbolo del confronto tra fede e scienza. L’insegnante John Scopes fu condannato per aver insegnato l’evoluzione, ma ne derivò una nuova riflessione sull’armonia tra ragione, verità e spiritualità

Una vicenda che segnò la storia del rapporto tra fede, religione e conoscenza

Nel luglio del 1925, nella piccola città di Dayton, nello Stato del Tennessee, si svolse uno dei processi più celebri del XX secolo: il caso Scopes, o Scopes Monkey Trial. L’insegnante di biologia John Thomas Scopes fu accusato di aver violato il Butler Act, una legge statale che proibiva di insegnare nelle scuole pubbliche qualsiasi teoria che negasse l’origine divina dell’uomo, così come descritta nel libro della Genesi.

Il processo divenne subito un simbolo della tensione tra fede e scienza, religione e libertà di pensiero, tradizione e modernità. Al di là della dimensione giudiziaria, esso rappresentò una vera e propria battaglia culturale sull’identità degli Stati Uniti e sull’interpretazione del progresso.

Il contesto : tra fondamentalismo e modernismo

Negli anni Venti del Novecento, l’America viveva una profonda trasformazione. Da una parte, la rivoluzione scientifica e industriale alimentava la fiducia nella tecnologia e nel metodo sperimentale. Dall’altra, i movimenti religiosi protestanti più conservatori temevano che il pensiero moderno e l’evoluzionismo darwiniano potessero minacciare i fondamenti morali della società cristiana.

Il Butler Act rifletteva questa paura. Approvato nel 1925 dal Parlamento del Tennessee, vietava di “negare la storia della creazione divina dell’uomo, come insegnata nella Bibbia, e di insegnare invece che l’uomo discende da un ordine inferiore di animali”.
Quando Scopes, un giovane insegnante di scuola superiore, accettò di sfidare la legge, il suo gesto divenne un caso nazionale, sostenuto dall’American Civil Liberties Union (ACLU) come test di libertà accademica e di separazione tra Chiesa e Stato.

Il processo : Bryan contro Darrow, fede contro ragione?

Il processo Scopes vide confrontarsi due figure di rilievo: da un lato William Jennings Bryan, politico e oratore di fama, fervente cristiano e difensore della Bibbia; dall’altro Clarence Darrow, celebre avvocato e convinto sostenitore della libertà di pensiero e della scienza evolutiva.

Le udienze si trasformarono in un grande spettacolo mediatico, con centinaia di giornalisti, fotografi e curiosi. Le radio trasmisero il dibattito in diretta, mentre la stampa lo raccontava come una lotta epocale tra il dogma religioso e la scienza moderna.

Darrow, nella sua difesa, non cercò tanto di scagionare Scopes — che ammise apertamente di aver insegnato l’evoluzione — quanto di dimostrare l’assurdità di vietare la conoscenza scientifica. Bryan, invece, difese la legittimità della legge e il diritto dei cittadini di proteggere la fede delle giovani generazioni.

Il verdetto fu di colpevolezza: Scopes venne multato per 100 dollari, ma il processo lasciò un segno profondo nella coscienza collettiva. La condanna legale fu presto superata, ma il dibattito culturale continuò per decenni.

Fede e ragione : il vero nodo del processo

Come osserva Kody W. Cooper nell’articolo pubblicato su Word on Fire, il vero significato del processo Scopes non risiede nella contrapposizione tra fede e scienza, bensì nella ricerca di una loro possibile armonia.
Il caso di Dayton rappresentò il tentativo, anche drammatico, di capire come conciliare due dimensioni fondamentali dell’esperienza umana: la razionalità e la spiritualità.

La visione cattolica, sin dal pensiero di san Tommaso d’Aquino, sostiene che la verità rivelata e la verità razionale non possono contraddirsi, poiché entrambe derivano da un’unica fonte: Dio.
In questa prospettiva, la fede non nega la scienza, ma la completa; la scienza, a sua volta, non può sostituirsi alla fede, ma può aiutarla a comprendere meglio l’ordine e la bellezza della creazione.

Durante il processo, entrambe le parti — pur con eccessi ideologici — rivendicavano in fondo la centralità della verità. Da un lato, la necessità di rispettare il sacro e i valori morali fondanti; dall’altro, il diritto di indagare liberamente la realtà attraverso il metodo scientifico.

Dopo Dayton : la riflessione della Chiesa e il pensiero contemporaneo

Negli anni successivi, la Chiesa cattolica adottò un atteggiamento di dialogo prudente ma aperto verso le teorie evoluzionistiche. Già nel 1950, con l’enciclica Humani Generis, Pio XII riconobbe la legittimità di discutere scientificamente l’evoluzione, purché non si negasse l’intervento divino nella creazione dell’anima umana.

Questo approccio si è consolidato nel tempo: san Giovanni Paolo II, nel 1996, affermò che “l’evoluzione è più che un’ipotesi”, mentre papa Francesco ha ribadito che Dio non è “un mago con la bacchetta”, ma il creatore che ha dato all’universo la capacità di svilupparsi secondo le proprie leggi.

In questo senso, il processo Scopes non è solo una pagina di storia americana, ma un monito universale sul rischio di ridurre la realtà a una sola dimensione: né la fede può ignorare la ragione, né la scienza può escludere la dimensione spirituale.

Un dibattito ancora attuale

A un secolo di distanza, le domande sollevate a Dayton restano aperte. In un’epoca segnata dall’intelligenza artificiale, dalle biotecnologie e dalle nuove frontiere della fisica, il rapporto tra fede e scienza continua a essere un tema decisivo per la cultura contemporanea.

Il caso Scopes ricorda che l’uomo non è soltanto un insieme di processi biologici, ma un essere dotato di coscienza, libertà e spiritualità. La vera armonia tra fede e ragione consiste nel riconoscere che entrambe sono vie complementari alla ricerca della verità, e che solo integrandole è possibile costruire una civiltà autenticamente umana.

Immagine : John Scopes nel 1925, cortesia Smithsonian Institution.

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