La complessità e l’informazione hanno riportato nel dibattito scientifico alcune intuizioni di Pierre Teilhard de Chardin. Non come dottrina, ma come domanda epistemica sulla direzionalità evolutiva
Un nuovo contesto scientifico ha riaperto la questione
Negli ultimi anni, alcuni filoni della cosmologia e della filosofia della scienza stanno producendo un dato nuovo: la complessità non è più una metafora suggestiva. È diventata un vero campo empirico e quantitativo. Le transizioni di fase nei sistemi complessi, gli studi sull’informazione e l’auto–organizzazione, la modellistica evolutiva basata su vincoli e non solo su casualità, stanno modificando il quadro interpretativo che per decenni era rimasto ancorato a una lettura unicamente statistica e non direzionale dei processi cosmologici e biologici.
In questo scenario, alcuni studiosi – non teologi, non apologeti, non divulgatori religiosi – stanno riconoscendo che l’intuizione di Teilhard de Chardin su emergenza e “direzione” evolutiva rappresenta una domanda epistemica ancora aperta. Nessun ritorno dogmatico, nessuna “riabilitazione” postuma. Ma la presa d’atto che quell’interrogativo – in forma non teologica, e in forma controllabile – oggi è nuovamente rilevante.
Direzione evolutiva : non teleologia ingenua ma domanda di struttura
Il punto centrale non è la teleologia metafisica. Il punto – rigorosamente scientifico – è se i sistemi complessi, nella loro evoluzione, mostrino dinamiche connesse all’incremento di informazione strutturata e di relazioni. Alcuni team di ricerca parlano di “informazione morfogenetica”, altri parlano di “vincoli emergenti”. Tutti però condividono una convinzione: il caso puro, come unico motore interpretativo, oggi non è più sufficiente a spiegare la comparsa e la stabilizzazione di nuove forme.
Teilhard non forniva formule. Ma aveva intuito che l’evoluzione reale non poteva essere descritta solo come somma di mutazioni casuali filtrate dalla selezione. Oggi questo è un tema scientifico e non speculativo. Ed è per questo che alcune sue categorie ritornano. Non perché “profezie” riuscite, ma perché quelle categorie intercettavano un problema reale: come si comprende la crescita della complessità nel cosmo?
La necessità di separare livelli : dati, teoria, filosofia
Questo è un punto fondamentale per SRM. È necessario distinguere con rigore:
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livello empirico
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livello teorico
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livello metafisico / filosofico
Se questa distinzione viene mantenuta, è possibile analizzare il ritorno accademico dell’interesse per alcune intuizioni teilhardiane senza cadere né nell’entusiasmo ideologico, né nel rifiuto di principio. Il ritorno di interesse è un fatto. La legittimità di utilizzarlo teologicamente è un altro discorso – e non si può saltare la gerarchia dei livelli. Il contributo degli studi di scienza e fede è proprio questo: impedire che si confondano piani diversi, e aiutare a comprendere in quali condizioni i dati scientifici possano generare domande filosofiche e antropologiche.
La complessità come ponte metodologico, non come “prova” metafisica
È importante sottolineare che la complessità, oggi, è un linguaggio che permette di costruire ponti. Non “prova” alcuna tesi metafisica, né religiosa né antireligiosa. Ma consente di ripensare certe domande in modo più maturo e meno ideologico: se l’universo tende verso stati più strutturati, se l’informazione cresce in modo non lineare, se la cooperazione in natura produce configurazioni più stabili del puro antagonismo, allora il dialogo tra scienza empirica e filosofia diventa più denso. È qui che si colloca il vero valore di Pierre Teilhard de Chardin oggi, come figura stimolante per il pensiero contemporaneo: non come autore da assumere in blocco, ma come “luogo critico” che obbliga la scienza e la teologia a non restare chiuse ciascuna nel proprio linguaggio. La complessità, come concetto operativo, può aiutare a riconoscere che il reale non è “piatto”, ma stratificato: e che il dialogo tra scienza e fede deve avvenire esattamente su questo confine, dove non si riduce né si semplifica, ma si approfondisce.
Una opportunità per ripensare il rapporto tra fede e scienza
Il ritorno di interesse per Teilhardde Chardin, dentro la complessità e l’informazione, è una occasione preziosa. Permette di mostrare che il dialogo tra scienza e fede funziona dove c’è rigore e distinzione, non dove c’è fusione o confusione. Permette anche di mostrare che la storia della scienza non procede solo per accumulo di dati, ma anche per riapertura di questioni concettuali. In questo senso, la domanda teilhardiana sulla direzione evolutiva è oggi una domanda scientificamente più legittimata di trent’anni fa. E può diventare un luogo serio e protetto di confronto con la teologia della creazione, senza derive e senza scorciatoie.
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