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I limiti del concetto di prova nella scienza e nella religione : due piani diversi, un confronto possibile

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Perché “prova” non ha lo stesso significato nella scienza e nella fede, e perché il dialogo nasce solo quando si riconoscono linguaggi e metodi differenti

Una delle confusioni più frequenti nel dibattito pubblico su scienza e fede riguarda l’idea di “prova”. Quando si dialoga, o si discute, o si polemizza, spesso si sente dire: “Dimostramelo”, “Provalo”, “Fornisci evidenze oggettive”. Ma che cosa significa davvero “prova”? E che cosa significa “prova” in scienza? E cosa significa, invece, “prova” o “verità” nel cammino della fede? La verità è che questa parola viene usata in modo caricaturale: si confonde ciò che è criterio scientifico con ciò che è riconoscimento dell’adesione personale, e si pretende una sovrapposizione che non solo non funziona, ma tradisce entrambe le dimensioni. Scienza e fede non si incontrano sul piano della “prova” come se si trattasse della stessa categoria. Il confronto serio inizia solo quando si riconosce che i linguaggi sono diversi.

Cosa significa “prova” nella scienza

La scienza non “dimostra” nel senso matematico del termine. La scienza osserva, ipotizza, verifica, misura, valuta. Poi procede per falsificazione, per conferma sperimentale, per robustezza statistica. Una teoria scientifica è “vera” finché regge meglio delle altre, finché spiega più fenomeni con meno ipotesi. È un processo. È dinamico. È storicamente situato. È migliorabile e superabile.

Persino le teorie considerate più solide possono essere riformulate. La relatività non ha “confutato” Newton nel suo campo d’azione: lo ha ampliato e precisato. La meccanica quantistica non ha distrutto la fisica classica: ha mostrato che a certe scale la realtà si comporta diversamente. La scienza non ha la pretesa di fotografare l’Assoluto. La scienza misura il mondo nei modi in cui il mondo consente di essere misurato.

Cosa significa “prova” nella fede

Nella fede, la parola “prova” non è un dato sperimentale, non è una misurazione. È riconoscimento. È adesione personale. È incontro con un fatto che interpella. È fiducia ragionevole e non cieca, ma comunque fiducia.

Nella fede non si “dimostra Dio” come si dimostra il teorema di Pitagora. Dio non è un oggetto sperimentale. Dio non è un fenomeno che si mette sotto microscopio. Dio non è una “cosa” di cui si possa fare spettrometria di massa. La fede si muove in un altro orizzonte: quello della domanda di senso, della coscienza morale, della esperienza di bellezza, della apertura radicale all’oltre. La fede non si fonda sulla misura, ma sul riconoscimento.

Dove nasce l’errore del confronto

Il problema nasce quando si pretende di usare la stessa parola “prova” nello stesso modo, come se si trattasse della stessa operazione cognitiva. Quando uno scientista dice: “Dammi prove fisiche di Dio”, commette un errore di categoria. Quando un credente dice: “La mia fede è una prova scientifica”, commette lo stesso errore, speculare e simmetrico.

La scienza non può provare o confutare Dio. La fede non può dimostrare la Trinità con esperimenti ripetibili. Sono due piani distinti. Possono dialogare. Non possono essere fusi in un unico metodo.

Il piano corretto del confronto

Scienza e fede si incontrano altrove.

Si incontrano nel modo in cui l’uomo comprende se stesso. Nella domanda su cosa sia l’esperienza umana. Nel riconoscimento che esiste più realtà di quella che possiamo misurare.

La scienza non pretende di essere tutto. La fede non pretende di sostituirsi alla misura. Il punto di incontro è nella consapevolezza del limite:

  • la scienza riconosce il limite del proprio metodo

  • la fede riconosce che non tutto ciò che si crede è “dimostrabile” nel senso sperimentale

Conclusione

Il concetto di “prova” è diverso nella scienza e nella fede. Non è uno scarto linguistico. È un dato antropologico e cognitivo. È un fatto epistemologico. La scienza cerca di fare emergere il vero attraverso la misurazione e la verifica. La fede riconosce una verità che precede la misura e che apre la libertà personale.

Solo quando si accetta questa distinzione si può dialogare realmente. La domanda che resta è: come gestiamo questo limite? La risposta non è negare la scienza, né squalificare la fede. La risposta è riconoscere che l’uomo vive su più livelli di verità. E che non tutto ciò che è reale è, o può essere, riducibile a un numero o a un esperimento.

In questo senso, scienza e fede non sono nemiche. Sono due modi diversi con cui la ragione umana tenta di abitare il mistero della realtà.

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