da L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
Galileo, Tommaso e i gesuiti
Il dibattito ottocentesco sull’astronomo pisano
di Luciano Malusa
È in corso a Firenze, a Palazzo dei Congressi, il convegno internazionale “Galileo 2009”. Anticipiamo un estratto di una delle relazioni.
Nel corso del XIX secolo il movimento neotomista in Europa sviluppò una pressione sul papato e sulle scuole cattoliche perché la filosofia cristiana ritornasse allo studio delle opere di san Tommaso, nella misura in cui diversi scritti dell’Angelico Dottore avevano rappresentato il coagularsi di una dottrina razionale in grado di fondare la fede. Occorreva, secondo i seguaci di questo movimento, che una solida filosofia fosse posta a fondamento sia dell’etica pubblica che dell’esercizio della religione cristiana. Il momento di affermazione del neotomismo fu rappresentato da una consacrazione ufficiale da parte del papato, quanto addirittura un’enciclica, l’Aeterni Patris, di Leone XIII, prescrisse nel 1879 per seminari e scuole cattoliche l’adozione della dottrina tomista nell’avviamento e nel consolidamento della filosofia.
Nello sviluppo di questo movimento notiamo l’elaborazione di una dottrina circa la natura che si contrappose alle tendenze del materialismo. Tale filosofia della natura pose dei problemi. Nell’utilizzare le dottrine di Tommaso i pensatori che ritenevano fondamentale il suo pensiero per una genuina fondazione di filosofia cristiana si impegnarono a restaurare la teoria della materia e della forma. Uno dei punti fondamentali del pensiero tommasiano relativamente ai corpi non poteva che essere la visione qualitativa, collegata con la necessità di cogliere le essenze dei fenomeni naturali per comprendere l’insieme delle leggi che regolano il cosmo.
Ogni sostanza per san Tommaso è sinolo di materia e forma, e la forma in un certo senso particolarizza entro l’esistenza, grazie alla materia disponibile ad essere formata, un’essenza universale che la scienza deve cogliere attraverso un complesso procedimento, logico e sperimentale insieme.
In questo contesto, il ricorso al pensiero di Galileo Galilei fu, nei neotomisti, problematico. La visione della materia e della forma confliggeva certamente con la visione del movimento dei corpi e della causalità riscontrabile attraverso gli influssi atomici. Il cosiddetto meccanicismo, che era stato introdotto dalla cinematica nella versione galileiana, non poteva essere fatto coesistere facilmente con i principi della fisica tomistica, i quali asserivano essere i corpi composti di materia prima e forma sostanziale, e secondo i quali a determinare e spiegare i movimenti della corporeità era la forma.
Tuttavia i pensatori neotomisti, quando si trattò di confrontare la scienza sorta in età moderna, e ormai patrimonio dell’umanità, imprescindibile elemento del sapere nel secolo XIX, con i principi dell’aristotelismo modificati e adattati da san Tommaso, non ritennero imbarazzante parlare di Galilei e delle sue metodologie.
La relazione che farò nel corso della terza giornata del Congresso si occupa delle posizioni di neotomisti appartenenti alla Compagnia di Gesù, come Giovanni Maria Cornoldi e Matteo Liberatore, ed anche, per contrapposizione dialettica, delle posizioni di scienziati e pensatori egualmente gesuiti, che non condivisero l’impostazione neotomista (Angelo Secchi e Francesco Salis-Seewis).
Cornoldi e Liberatore non intendevano rinfocolare le polemiche del Seicento, e far rivivere il dramma della condanna dello scienziato toscano davanti al Santo Uffizio. Soprattutto non valutavano la condanna di Galilei in funzione del contrasto della sua posizione atomistica. La tesi di Pietro Redondi (Galileo eretico, Torino 2007), che le motivazioni reali della condanna di Galilei risiedono nelle preoccupazioni dogmatiche di “fermare” la diffusione della dottrina galileiana degli atomi, ha un suo fondamento, ma non è spendibile per capire la situazione ottocentesca. Ai gesuiti premeva dare a Galilei una patente di ortodossia, sorvolando sul modo di professare la fisica corpuscolare accanto ad una fisica del movimento. Addirittura essi, non potendo negare l’atomismo chimico-fisico cercavano di sovrapporgli un’interpretazione basata sulla forma quae “secondo livello” nella comprensione della sostanzialità dei corpi.
Queste difficoltà furono fatte rilevare ai neotomisti dallo scienziato gesuita Angelo Secchi, docente di Astronomia al Collegio Romano (l’università dei gesuiti di allora). Per Secchi, il quale era stato allievo di Giambattista Pianciani, uno dei fondatori de “La Civiltà Cattolica”, il movimento di ritorno al pensiero di san Tommaso era incompatibile con i principi dell’atomismo fisico-chimico che stavano alla base dello sviluppo della ricerca scientifica. Questo esponente di una scuola di pensiero che riteneva fondamentale il meccanicismo sotto il profilo fisico anche in funzione di un’apologetica cattolica si era convinto che ai fini proprio della presenza della fede cristiana nel mondo degli scienziati era deleterio il tipo di filosofia presentato dai seguaci di san Tommaso.
Nonostante questa accettazione della sintesi galileiana nel quadro della sua posizione dell’unità delle forze fisiche, Secchi pensava, riguardo alla condanna del 1633, che Galilei si fosse prestato con il suo comportamento ad equivoci. In un testo piuttosto esplicito così si esprime: “Mettendoci nelle condizioni de’ tempi (…) la condotta del Papa e del tribunale non poteva esser diversa, la questione scientifica spariva quasi in faccia alla inqualificabile condotta di Galileo, che ad onta di un processo avuto si occupava ex professo di un tema vietato perché pericoloso allora, non ben dimostrato e che era rigettato dai protestanti stessi di molto grido, e che non si appoggiava con pompa che di argomenti insussistenti (flusso e riflusso) mentre forse i più concludenti erano lasciati nell’ombra” (lettera inviata a Sante Pieralisi, comparsa poi nello scritto di questi: Sopra una nuova edizione del processo originale di Galileo Galilei fatta da Domenico Berti, Roma 1879, pp. 3-4.).
Una posizione più equilibrata sul ruolo complessivo di Galilei viene espressa da uno scrittore de “La Civiltà Cattolica” che si trovò in controtendenza rispetto a Cornoldi e Liberatore. Nella recensione del 1875 allo scritto del positivista Francesco Saverio de Dominicis, intitolato Galilei e Kant, Salis-Seewis asserisce che l’assimilazione della filosofia di Galilei al pensiero di Kant non è fondata.
Galilei non ha inaugurato il divorzio della filosofia dal dogma religioso, ma, al contrario, ha cercato di trovare una strada per l’esercizio corretto della ragione nel rapporto con l’esperienza e per rispettare la verità della rivelazione cristiana. Galilei ha cercato di difendere le sue conclusioni scientifiche circa il movimento della Terra sostenendo che la Scrittura insegnava quello che lui indicava, e cercando anche un’interpretazione non letterale dei testi sacri.
Nel primo atteggiamento, secondo Salis-Seewis, ha sbagliato; nel secondo caso ha fatto quanto molti esegeti e filosofi hanno fatto, seguendo i canoni dell’interpretazione dei testi sacri indicati nell’esegesi biblica cristiana fin da sant’Agostino.
Pur senza polemizzare con la visione ilemorfica circa i corpi, Salis-Seewis afferma che la filosofia cristiana può mantenere una posizione creazionistica anche affermando l’esistenza di quelle forze fisiche riconosciute dall’esperienza scientifica degli ultimi due secoli, prescindendo dalla materia e dalla forma. L’istanza intellettuale e quella sperimentale erano state coniugate da Aristotele in età antica; nel prosieguo del medioevo gli ingegni della Scolastica avevano preferito “starsene per fatti della testimonianza del loro maestro, e curar meno le ulteriori esperienze”.
Galilei non si allineò a questo metodo riduttivo, ed accentuò il metodo aristotelico di unire l’uso della ragione all’osservazione ed all’esperienza. Le difficoltà non gli mancarono, in quanto gli aristotelici del suo tempo non lo compresero. Di qui in fondo nacquero i guai per lui. Tuttavia il padre Salis-Seewis valuta positivamente il ruolo del pensatore toscano. “Dopo qualche inevitabile contraddizione, fu ascoltato, e le scienze naturali nella Chiesa e dai credenti furono coltivate con nuovo ardore. La filosofia cristiana, nel suo più ampio significato, ricevette allora il suo compimento. Tale è la posizione, tali i meriti di Galileo”.
Questa frase compendia la posizione assunta dai gesuiti nella seconda metà dell’Ottocento: i neotomisti ebbero qualche incertezza nella rigida adesione all’ilemorfismo; e seguaci di Secchi si mossero invece con maggiore scioltezza e conseguirono per la prima volta nella storia del pensiero cattolico una posizione equilibrata circa il valore e l’eredità del pensatore toscano.
Copyright L’Osservatore Romano
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.