da L’Osservatore Romano, 6 gennaio 2010
Non ci ruba la terra chi ci regala il Cielo
L’Epifania in un inno del V secolo
di Inos Biffi
Se il Natale celebra la venuta di Gesù alla luce nel nascondimento e nella familiare semplicità di una casa non molto dissimile da una grotta, dov’è accolto dalla fede e dalla tenerezza di Maria e di Giuseppe, e dov’è riconosciuto solo dalla premurosa umiltà dei pastori, l’Epifania già ne celebra l’aperta manifestazione quale Figlio di Dio, considerando i segni che lo rivelano: la stella brillata allo sguardo dei Magi; il battesimo al Giordano; la conversione dell’acqua in vino, a Cana.
Sono i tre “miracoli” cantati dall’inno dei vespri dell’Epifania, un inno formato da strofe tratte dall’ampia e modesta composizione di Sedulio (secolo V): A solis ortus cardine.
Il pensiero di inizio è per Erode, empiamente e stoltamente ossessionato dal timore di perdere la propria regalità a motivo della regalità di quel Bambino: “Perché, Erode, di Cristo / il terrore t’invade? – è l’apostrofe dell’inno – Non toglie i regni terreni / chi ci regala il cielo (Non eripit mortalia, / qui regna dat caelestia)”. Lo proclamerà Gesù stesso a Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo” (Giovanni, 18, 36).
Come insegna la storia di tutti i tempi, lo sfrenato attaccamento al potere crea un’ansia invincibile, acceca il cuore ed è capace di tutti i delitti.
Quando, invece, il cuore, non è ripiegato e chiuso su se stesso, ma è in ricerca sincera della verità, allora riesce a vedere la luce che Dio vi accende. Avvenne così per i Magi, geograficamente lontani da Betlemme e pure tanto prossimi al Bambino celeste che vi era nato: per rendersi conto del Signore non è sufficiente dimorargli fisicamente vicino.
Il primo miracolo celebrato dall’Epifania è la comparsa inattesa di questa luce di verità, raffigurata in una stella sapiente e docile che non è il caso di scrutare e di scoprire tra gli astri che percorrono e popolano il firmamento creato. Essa è un dono fiammante di grazia offerto dalla provvidenza divina come guida singolare, che rischiara il cammino verso Gesù – “Via, Verità e Vita” (Giovanni, 14, 6) – e porta alla sua adorazione. È detto con finezza dal nostro poeta: i Magi, seguendo una luce, ricercano la Luce (Lumen requirunt lumine), e viene alla mente la preghiera di Newman: “Guidami, luce gentile in mezzo al buio che mi avvolge”.
Questa “luce amica” Dio non la lascia mancare a nessuno. “È nell’intimo – afferma ancora Newman – che ricercheremo l’Epifania di Cristo”, mentre per sant’Ambrogio: “Dove c’è Cristo, là c’è la stella: è lui, infatti, la stella risplendente del mattino” (Expositio evangelii secundum Lucam, ii, 45).
Il secondo miracolo commemorato nell’Epifania è il battesimo nelle acque del Giordano – così ricche di storia e di grazia – dell’Agnello, che toglie il peccato del mondo. Discesa nelle acque, la sua innocenza ci leva il nostro peccato: “Nell’onda chiara si immerge / l’Agnello senza macchia: / questo lavacro mirabile / lava le nostre colpe”.
Con rara efficacia questo mistero è cantato nel solenne e disteso prefazio della Chiesa ambrosiana, che tradizionalmente assegna all’Epifania soprattutto il ricordo del battesimo di Cristo: “Sulle rive del Giordano, o Dio, hai manifestato il Salvatore degli uomini / e ti sei rivelato padre della luce. / Hai schiuso i cieli, hai consacrato le acque, / hai vinto le potenze del male, hai indicato il tuo Figlio unigenito. / Oggi l’acqua, da te benedetta, cancella l’antica condanna / e genera figli di Dio”.
Segue la memoria di un terzo nuovo prodigio (novum genus potentiae) avvenuto nella festa di nozze a Cana di Galilea, quando “obbediente l’acqua s’imporpora e si trasmuta in vino (Aquae rubescunt hydriae, / vinumque iussa fundere / mutavit unda originem)”. L’evangelista Giovanni lo definisce “l’inizio dei segni compiuti da Gesù”, in cui egli “manifestò la sua gloria”, suscitando la fede dei suoi discepoli: “I suoi discepoli credettero in lui” (Giovanni, 2, 11).
È un segno profetico, carico di presagi: la conversione delle acque allude alla potenza creatrice e alla signoria di Cristo; il vino del miracolo preannunzia la legge nuova, che purifica il cuore, che succede all’antica e alle sue abluzioni, e prefigura il vino del convito eucaristico e quello del banchetto del cielo, mentre tutto il convito nuziale, come in filigrana, adombra le nozze gloriose del Figlio di Dio, sposo della Chiesa.
Un commento ampio e felice della festa ci è offerto in questa antifona alla comunione – di sapore greco o siriaco – della liturgia ambrosiana (presente anche al Benedictus nelle Lodi della liturgia romana): “Oggi la Chiesa si unisce al celeste suo sposo, / che laverà i suoi peccati / nell’acqua del Giordano. / Coi loro doni accorrono i Magi / alle nozze del Figlio del Re, / e il convito si allieta di un vino mirabile. / Nei nostri cuori risuona la voce del Padre / che rivela a Giovanni il Salvatore: / Questo è il Figlio che amo: / ascoltate la sua parola”. La vita di Gesù è insieme storia e simbolo, evento e mistero. La liturgia la ripresenta, la rilegge e nelle sue celebrazioni ne attinge l’inesauribile grazia.
© L’Osservatore Romano
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