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News marzo 2009

Chi orienta la scienza

da L’Osservatore Romano, 28 marzo 2009

Chi orienta la scienza

L’apertura del nono Forum del Progetto culturale promosso dalla Chiesa italiana

“L’emergenza educativa. Persona, intelligenza, libertà, amore” è il tema del nono Forum del Progetto culturale promosso dalla Chiesa italiana che si svolge a Roma il 27 e il 28 marzo. L’incontro è stato aperto dal cardinale presidente del Comitato del progetto culturale, con una prolusione della quale proponiamo ampi stralci.

di Camillo Ruini

La parola “emergenza” è stata usata da Benedetto XVI nelle varie occasioni in cui ha incoraggiato la diocesi di Roma a uno speciale impegno nell’ambito dell’educazione, fino ad affermare che questa “grande emergenza” è oggi “inevitabile”. L’espressione è stata abbondantemente ripresa e rilanciata, assai al di là degli spazi del mondo cattolico, ma ha suscitato anche delle riserve, perché indica propriamente una situazione imprevista, di crisi o di pericolo, da affrontare con tempestività e risolutezza. Si è obiettato cioè che non abbiamo a che fare con qualcosa d’improvviso da dover affrontare con misure urgenti, ma con un fenomeno di lungo periodo, connesso con le tendenze di fondo della società in cui viviamo. Gli interventi di Benedetto XVI non andavano però in una direzione diversa e la parola “emergenza” stava a significare la gravità e acutezza della crisi, di cui è ormai diffusa la consapevolezza e che richiede una risposta non rinviabile, ma anche capace di andare alle radici, bisognosa quindi di un impegno di lungo e ampio respiro.

In questa breve prolusione mi concentrerò sulla convinzione che all’origine delle difficoltà dell’educazione stiano anzitutto alcune idee-forza, o dinamiche profonde della nostra civiltà. (…) Mi incoraggia a muovermi in questa direzione il fatto che Benedetto XVI, nei suoi interventi sull’educazione, ha ricondotto l’emergenza educativa anzitutto al relativismo che permea la nostra cultura e vita sociale. Non troppo diversa, anzi complementare è la diagnosi del disagio giovanile proposta da Umberto Galimberti nel libro L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, che da più di un anno sta avendo molto fortuna e che individua nel nichilismo stesso la decisiva causa culturale del malessere diffuso tra la gioventù. Tra relativismo e nichilismo è infatti stretta la parentela ed è diffusa nell’aria la convinzione che anzitutto a essi risalgano le difficoltà dell’educazione, oltre che i più profondi motivi di inquietudine e di crisi della civiltà a cui apparteniamo.

Personalmente sono del parere che, restando sempre sul piano delle idee-guida della vita sociale, questi motivi si concretizzino ulteriormente nella mutazione del concetto di uomo che di fatto sta avendo luogo, sebbene non sia ancora avvertita come tale dalla grande maggioranza della popolazione. Se cambia infatti il nostro concetto di uomo, e a maggior ragione se dovesse cambiare, in virtù delle applicazioni della tecnoscienza al soggetto umano, la realtà stessa dell’uomo – come da varie parti viene ormai ipotizzato – cambia necessariamente anche il concetto di educazione, il cui fine è propriamente la formazione della persona umana. Per conseguenza entrano in crisi, o comunque in grande movimento, i fondamentali parametri educativi.

I segni e le cause di questa mutazione del concetto di uomo sono in realtà facili da individuare. Si tratta anzitutto di una certa interpretazione dell’evoluzione cosmica e biologica, per la quale il soggetto umano non sarebbe altro che un risultato dell’evoluzione stessa:  certamente il suo risultato più alto, almeno per ora e nella piccola porzione dell’universo da noi meglio conosciuta, ma pur sempre un risultato omogeneo a tutti gli altri, in particolare agli animali superiori a noi più vicini nelle linee evolutive. All’interno di questa cornice, ma anche come sua in certo senso autonoma conferma, sta assumendo crescente rilievo un’interpretazione delle neuroscienze che, facendo leva sulla stretta connessione, che indubbiamente esiste e viene sempre meglio determinata e precisata, tra l’attivazione delle diverse aree, strutture e architetture del nostro cervello e le attività conoscitive e volitive, tende a ridurre la nostra intelligenza e la nostra libertà a funzioni dell’organo cerebrale, quindi in ultima analisi a funzioni della materia-energia di cui è composta tutta la natura. (…) Quando però si considera quella scientifica come l’unica forma di conoscenza del nostro essere che sia davvero valida e universalmente proponibile, come di fatto avviene in una pubblicistica diffusa e influente anche se di per sé largamente superata, si finisce con il negare che l’uomo sia anzitutto e irriducibilmente “soggetto” il quale, proprio nella sua intrinseca e ineliminabile soggettività, non può mai essere totalmente oggettivato e conosciuto in maniera adeguata attraverso le scienze empiriche.

È sul piano del fare però, cioè dei risultati operativi delle tecnoscienze, che la sfida appare di gran lunga più difficile, come del resto sono anzitutto questi risultati quelli che assicurano l’attenzione della società e ormai una vera leadership culturale al mondo delle scienze. Sembra fondata la tesi che una nuova e ingente rivoluzione è da poco iniziata, in particolare con gli sviluppi delle biotecnologie, e che essa ci condurrà – anzi ci sta conducendo – in tempi sostanzialmente brevi a traguardi sconvolgenti e largamente imprevedibili. Una formula che riassume efficacemente il senso di questi mutamenti è quella proposta da Aldo Schiavone, secondo la quale l’evoluzione potrebbe essere sottratta ai ritmi lentissimi della natura e affidata invece a quelli rapidissimi della tecnologia.

Per quanto grandi possano essere le perplessità e le preoccupazioni che la prospettiva di simili sviluppi genera in noi, dobbiamo anzitutto essere consapevoli che essi non possono essere arrestati, e nemmeno lo devono, dato che rappresentano un’importante espressione di quelle potenzialità che sono intrinseche all’intelligenza dell’uomo, creato a immagine di Dio. Ciò non significa, naturalmente, che tutto quel che è tecnicamente possibile debba essere attuato:  cosa questa che nessuno può seriamente sostenere, basti pensare all’uso delle armi nucleari. Significa però che questo macro-processo, come tale, non può e non deve essere impedito. Può e deve, invece, essere orientato, resistendo all’idea ingannevole e anti-umana di uno sviluppo deterministico e neutrale della tecnoscienza:  anch’essa, infatti, è opera di uomini, che agiscono, e scelgono, secondo le proprie convinzioni e i propri interessi. In concreto questo aspetto interagisce e si condiziona reciprocamente con l’altro, anch’esso innegabile, per il quale la ricerca scientifica segue una sua logica interna. La vera domanda è dunque chi, e a quali fini, darà a questa nuova fase di sviluppo il suo orientamento prevalente. Tutto ciò conferma e rafforza grandemente la necessità di un pieno coinvolgimento in “quell’ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita” (Gaudium et spes, 34).

La domanda sui fini che, nel partecipare a questo “ingente sforzo”, i credenti in Cristo devono proporsi trova a mio parere una chiara risposta già nelle fonti stesse della nostra fede, e non soltanto in sviluppi e deduzioni ulteriori. Tutta la Sacra Scrittura, infatti, e con essa la grande Tradizione ecclesiale, ci parlano di Dio e dell’uomo, hanno in Dio e nell’uomo i poli e i centri di gravità del loro discorso:  un discorso che a partire dal Nuovo Testamento assume un carattere marcatamente cristologico. L’uomo, il suo autentico bene, la sua tutela e promozione, il suo integrale sviluppo rimangono dunque il fine di tutto il nostro agire e “fare”, compreso il fare tecnologico. La consapevolezza di una “eclissi” dell’uomo nelle tendenze più recenti della cultura, in particolare – come abbiamo accennato – di una sua riduzione a oggetto e a parte della natura, non deve generare in noi credenti il timore di attardarci su posizioni superate mantenendo l’uomo al centro. Certamente questo non significa guardare all’uomo come a qualcosa di immobile e respingere a priori le prospettive nuove che si aprono a suo riguardo. Significa però tener fermo il suo carattere di fine e cercare di orientare a questo fine anche la crescita tumultuosa dei poteri della tecnoscienza. Proprio operando in questa direzione daremo il miglior contributo alla stessa tecnoscienza dato che, se essa venisse rivolta contro l’uomo, inevitabilmente anche l’uomo finirebbe con il rivolgersi contro di lei.

In questa prospettiva di globalità, terminerò con un accenno al ruolo che può esercitare il cristianesimo in rapporto al bene umano. All’origine di questo ruolo sta la fondamentale verità di fede che in Gesù Cristo giunge al suo vertice e compimento l’unione dell’uomo con Dio e in tal modo la dignità intrinseca di ogni essere umano ottiene il suo riconoscimento più alto. Karl Löwith, in una pagina che ho spesso citato perché mi sembra particolarmente puntuale e significativa, ha descritto la realizzazione nella storia di questa convinzione di fede affermando che il mondo storico in cui si è potuto formare il “pregiudizio” che chiunque abbia un volto umano possiede come tale la “dignità” e il “destino” di essere uomo, non è originariamente il mondo della semplice umanità, ma il mondo del cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo. Löwith aggiunge la controprova storica che “soltanto con l’affievolirsi del cristianesimo è divenuta problematica anche l’umanità” (Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo xix, Torino, Edizioni Einaudi, 1949, p. 482). In concreto, né la riduzione dell’uomo alla natura né un totale relativismo né una prospettiva nichilistica possono affermarsi pienamente e diventare egemoni finché la fede cristiana è viva e riesce a generare cultura. Non si tratta però soltanto di contrastare derive pericolose, ma ancor più di contribuire positivamente all’educazione delle nuove generazioni e più in generale agli sviluppi della storia, rimanendo aperti e desiderosi verso tutte le possibili collaborazioni e sinergie e tenendo come unico criterio di discernimento quel fine dell’educazione e del divenire storico che è l’uomo stesso.

© L’Osservatore Romano

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