da L’Osservatore Romano, 04.11.2010
Attenti a non distruggere anche quello che ancora non conosciamo
La comunità scientifica lancia un grido d’allarme in difesa del tesoro della biodiversità
di Peter H. Raven
Anticipiamo stralci della lectio magistralis intitolata “Cambiamenti climatici e biodiversità” che il presidente emerito del Missouri Botanical Garden di Saint Louis tiene nel pomeriggio del 3 novembre alla Pontificia Accademia delle Scienze in occasione di un incontro di presentazione dell’Expo 2015 di Milano.
Abitiamo in un mondo vibrante e vivo, insieme a milioni di altri tipi di organismi che, nel tempo, hanno creato l’ambiente originario di questa Terra viva e che continuano ad agire collettivamente per mantenere stabili quelle condizioni, rendendo quindi possibile la nostra vita. Facciamo fatica a fornire delle stime certe della diversità della vita sulla terra; tuttavia, secondo la mia stima approssimativa, esistono almeno 12 milioni di specie di animali, piante, funghi e protisti.
Inoltre, ci sono milioni di tipi di batteri, solo poche migliaia delle quali sono conosciute scientificamente. Noi dipendiamo completamente da questi organismi per la nostra esistenza sulla Terra; la combinazione delle loro attività rende possibile la nostra vita. Il nostro suolo, l’acqua che beviamo, la natura e la qualità dell’aria che respiriamo, la bellezza della nostra vita, e, cosa più importante, le nostre prospettive future, tutto dipende dal mantenimento della ricca scorta di biodiversità che abbiamo, in un certo senso, ereditato.
Tutto il nostro cibo proviene direttamente o indirettamente dalle piante.
Due terzi della popolazione mondiale utilizza le piante direttamente come medicina; a tutti gli altri, le piante forniscono circa un quarto dei nostri farmaci, sia direttamente che attraverso la produzione di composti che le piante producono naturalmente. Dalla fine della seconda guerra mondiale sono stati brevettati circa cinquemila tipi di antibiotici e i prodotti derivati da funghi e batteri formano un altro quarto di tutti i farmaci da prescrizione.
Edilizia e materiali per l’abbigliamento, prodotti chimici per usi industriali, la capacità di assorbire le sostanze inquinanti che produciamo dipendono tutti dalla biodiversità, così come i servizi ecosistemici e la bellezza stessa della nostra vita.
In considerazione dei modi in cui la scienza cinquantenaria della biologia molecolare ci consente di svelare i segreti della biologia, in larga misura facendo paragoni chiave tra gli organismi e i loro processi vitali, preservare la diversità della vita diventa sempre più importante per noi nella costruzione del nostro futuro.
Emulare i processi naturali spostando geni tra specie non collegate di organismi, come siamo in grado di fare da quasi quarant’anni, rende possibili molti miglioramenti nelle caratteristiche dei nostri farmaci e delle nostre coltivazioni che, solo poco tempo fa, sarebbero stati inimmaginabili.
Per tutti questi motivi si può concludere che la biodiversità fornisce la chiave della nostra sostenibilità futura e della qualità della vita umana. Come ha sottolineato l’ambientalista americano Aldo Leopold “la prima regola delle modifiche intelligenti è quella di risparmiare tutti gli ingranaggi e le ruote.”
Data la pressione combinata della crescita della popolazione umana, del nostro desiderio di aumentare i livelli di consumo in tutto il mondo – un miliardo di persone raggiungerà, nel prossimo futuro, i livelli della classe media – e della nostra riluttanza a sostituire con tecnologie benigne quelle più dannose a cui continuiamo ad aggrapparci, non dovrebbe sorprendere nessuno il fatto che stiamo spingendo gli organismi all’estinzione a un tasso senza precedenti negli ultimi 66 milioni di anni.
Studiando i fossili di quegli organismi che possiedono parti dure che si conservano bene, abbiamo scoperto che un tasso di perdita annuale di circa una specie per milione ha caratterizzato tutto quel periodo di tempo protratto. Supponendo che questi tassi di estinzione siano caratteristici della vita nel suo complesso, ciò ammonta a un tasso storico di perdita di una dozzina circa di specie all’anno. Passando ora alla documentazione stampata degli ultimi cinquecento anni, che racconta il destino degli organismi, si può estrapolare che, in questo periodo di tempo, diverse centinaia di specie si sono estinte ogni anno.
Attualmente, per i motivi che sto per elencare, il tasso ha raggiunto le migliaia per anno. La distruzione degli habitat naturali rappresenta la principale causa di perdita di specie in tutto il mondo, con l’11 per cento della superficie mondiale destinata all’agricoltura, un ulteriore 22 per cento al pascolo, e ampie zone alle città; lo sviluppo incontrollato delle città; le varie attività di costruzione, tra cui autostrade e dighe; la deforestazione per creare pascoli, la coltivazione della palma da olio o della soia, o per altri motivi. Un secondo fattore importante per quanto riguarda l’estinzione è la rapida diffusione in tutto il mondo di specie invasive, che siano erbacce, erbivori, parassiti, malattie, o animali, accelerata dal commercio umano.
In particolare nelle isole o in habitat fragili come le regioni con un clima mediterraneo, estivo-secco, specie invasive o malattie delle piante o degli animali stanno causando perdite enormi. In terzo luogo, la raccolta selettiva di particolari tipi di animali – carne di animali selvatici, per esempio, o l’industria peschiera – o piante – spesso per la medicina, per il legno, o per il consumo – sta spingendo molte specie alle soglie dell’estinzione, o addirittura oltre, in tutto il mondo.
Senza tener conto degli effetti del cambiamento climatico globale, abbiamo stimato che queste attività nel loro insieme potrebbero, se non vengono controllate, portare all’estinzione, entro la fine del secolo, di metà o più di tutte le specie che ora esistono sulla Terra, il che equivarrebbe a un evento di estinzione senza precedenti negli ultimi 66 milioni di anni, provocato interamente dalle attività degli esseri umani.
La scorsa settimana, la Convenzione sulla biodiversità, affiliata all’Onu ha tenuto una conferenza delle parti a Nagoya, in Giappone. Nel corso della riunione, la World Conservation Union ha pubblicato un rapporto concludendo che, delle circa 25.720 specie di vertebrati terrestri, circa una su cinque comprendeva meno di cinquanta individui o si sarebbe probabilmente estinta per altri motivi nel prossimo decennio.
Per quanto riguarda le piante, un esercizio ingegnoso condotto dai Royal Botanic Gardens di Kew nel Regno Unito ha valutato lo stato di conservazione di un campione di settemila specie di piante, utilizzando i dati accumulati negli erbari.
Gli studiosi hanno sperimentalmente considerato ad alto rischio di estinzione specie provenienti da una sola località di meno di dieci chilometri quadrati di estensione.
Sulla base di quegli standard, lo studio ha calcolato che circa il 20 per cento delle specie di piante, la stessa proporzione di quella dei vertebrati terrestri, è in pericolo di estinzione. Se altri gruppi di organismi fossero ugualmente minacciati, circa due milioni e mezzo di specie in tutto il mondo sarebbero in pericolo di estinzione nel prossimo decennio.
Questi dati coincidono fortemente con previsioni anteriori fatte sulla base dei tassi di estinzione, secondo le quali oltre la metà delle specie di organismi del mondo diverse dai batteri potrebbero scomparire definitivamente entro la fine del ventunesimo secolo.
Ciò che aggrava ulteriormente il problema della perdita è il fatto che la grande maggioranza delle specie non è ancora stata identificata e nominata, di modo che molte delle specie che scompaiono sarà sconosciuta quando questo accadrà. Da un minimo stimato di dodici milioni di specie di organismi (diversi dai batteri) ne abbiamo finora individuate e nominate, dopo circa trecento anni di lavoro coordinato (da quando è stato fatto un primo tentativo di enumerare tutte le specie conosciute) non più di 1,9 milioni. Molti tipi di organismi, compresi acari, piccoli insetti, soprattutto mosche, vespe e maggiolini, nematodi (vermi tondi) un certo numero di gruppi di organismi marini, e funghi, sono in gran parte sconosciuti. Stiamo dando un nome ai restanti al ritmo di circa diecimila specie all’anno, di modo che ci vorrà circa un migliaio di anni per nominarle tutte al ritmo attuale.
Un problema connesso è che dare semplicemente un nome alle specie in realtà non significa che le conosciamo in profondità. Per esempio, possiamo dire di conoscere relativamente bene, in termini di estensione, di proprietà e del posto che occupano in un dato ecosistema, probabilmente non più di 40.000 delle 380.000 specie conosciute di piante. Probabilmente la metà delle specie vegetali che sono state nominate si conoscono grazie a uno o, nella migliore delle ipotesi, a una manciata di esemplari.
Sulla base dei tassi di scoperta in gruppi diversi, si può stimare che, probabilmente, da 50.000 a 75.000 specie ulteriori di piante aspettino di essere scoperte. La maggior parte di quelle da scoprire, per ovvie ragioni, sarà rara e sull’orlo dell’estinzione, aggravando le difficoltà della loro conservazione per il futuro.
A parte la discussione filosofica di come dovremmo procedere in modo da scoprire le specie nel tempo che rimane, siamo chiaramente di fronte a una situazione molto difficile in tema di salvaguardia di ciò che abbiamo.
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