Questa che pubblichiamo oggi è la seconda parte, anticipata la scorsa settimana, della lunga intervista a Ludovico Galleni realizzata da Paolo Centofanti, direttore SRM, sul tema dell’evoluzione biologica, considerata dal punto di vista della scienza e della religione. In questa parte dell’intervista si considera nuovamente l’impulso dato da un uomo di fede e di scienza come Mendel alla nascita e lo sviluppo della genetica; si parla del contributo del paleontologo Telhard De Chardin nella definizione della biologia evolutiva; delle teorie della biosfera, a partire dal sacerdote e geologo Antonio Stoppani, e dal biochimico russo Vladimir Vernadsky; della sintesi delle teorie dell’evoluzione realizzata dal genetista Theodosius Dobzhanski, delle teorie della biosfera, con le differenze verso ipotesi come quella di Gaia.
Come si è arrivati a definire le attuali teorie evolutive per selezione naturale ? Le leggi di Mendel, proprio per la genialità della figura di questo scienziato, vengono riscoperte da tre biologi, praticamente nello stesso periodo, agli inizi del novecento. Mendel scrive nel 1864, quindi precorre di decenni quella che è il resto della ricerca biologica, ma le sue leggi permettono il recupero anche di tutta l’indagine sulla selezione naturale. Iniziano così discipline importanti, l’applicazione di modelli matematici alla biologia, la genetica di popolazione. E anche una disciplina molto importante, molto importante, che è la conferma migliore della selezione naturale: la genetica ecologica, cioè l’indagine nel tempo della variazione dei caratteri in ambienti naturali. E questo forse è l’aspetto più importante, tra quelli che confermare la teoria della selezione naturale. Qui però c’è un discorso importante da fare. Alcuni casi confermano senz’altro la selezione naturale; quindi esiste la selezione e agisce.
Il grande problema che si pone (già in pratica nella discussione appena dopo la pubblicazione del volume di Darwin, che avviene nell’ambiente inglese già dal 1871, quando uno zoologo inglese, George Jackson Mivart, pubblica un volume: “On the Genesis of Species”) è però questo: può la selezione naturale spiegare tutta la varietà dei viventi, o entrano in gioco altri meccanismi ? E una pista (ce ne sono molte ma cerchiamo di sintetizzare), è quella che vede il motore dell’evoluzione non soltanto nel gioco scollegato e in parte casuale mutazione / selezione, ma anche nel gioco dei collegamenti tra individui e tra specie, che, a fianco della lotta per l’esistenza, propongono la cooperazione.
A fianco della sopravvivenza del più adatto, vediamo la sopravvivenza di strutture cooperative, quale ad esempio la simbiosi: gruppi di viventi si collegano insieme per superare stadi particolari dell’evoluzione. Il concetto di simbiosi è un concetto importante, perché in qualche modo si confronta con quello della lotta per la sopravvivenza, e perché mette l’accento su relazioni che si instaurano non solo casualmente, ma perché danno come risultato una struttura, vuoi di un individuo, vuoi di una popolazione, più efficace di quella di partenza.
Qual è la differenza di approccio e di visione, nell’idea di strutture cooperative o simbiotiche ? Prima di tutto entra in gioco un altro problema: quello delle relazioni tra oggetti biologici. Tutta la linea, importante e fondamentale, della biologia parte sempre dal riduzionismo cartesiano. Posso smontare un oggetto complesso, ne studio le parti, e comprendo anche la struttura e le funzioni dell’oggetto nella sua interezza. Oggi si comincia a riflettere di più sulla complessità; cioè quando io smonto un oggetto, per alcuni biologi, necessariamente perdo relazioni che non posso ricostruire studiando le parti; e allora se voglio avere informazioni, debbo anche studiare l’oggetto nella sua completezza e nella sua interezza, perché un oggetto biologico non è riducibile alle parti.
Questa è la grande frontiera della biologia evolutiva del futuro: quanto queste tecniche della complessità, su cui possiamo cominciare a lavorare ora perché abbiamo gli strumenti (ad esempio le simulazioni al computer), possono suggerirci nell’evoluzione. Mi piace ricordarlo perché il primo che ha posto il problema della biologia come scienza che studia la complessità, è stato un grande gesuita e paleontologo, Pierre Teilhard De Chardin. Poi ha rivisto, un po’ con alcune intuizioni (non era un teologo di professione), tutta l’impostazione della teologia nei riguardi dell’evoluzione, ed è stato uno degli ispiratori di quell’ evento fondamentale della storia della chiesa che è stato il Concilio Vaticano Secondo. Qui ci interessa come scienziato.
Qual è l’apporto più importante di Telhard De Chardin alla biologia evolutiva ? L’idea fondamentale di Teilhard è che mano a mano che si sale nella scala di indagine degli oggetti biologici e si percorre la strada della complessità, entrano in gioco nuovi meccanismi che il riduzionismo perde. Ecco quindi la biologia come scienza della complessità, la biologia come scienza di oggetti non riducibili. Tra l’altro un’idea fondamentale, affascinante, è lo studio della biosfera come oggetto complesso che si evolve, per poter capire l’evoluzione. Cominciamo ad arrivare ora ad avere gi strumenti per studiare la biologia della biosfera considerata come oggetto complesso seguendo appunto la proposta di Teilhard che in Cina negli anni quaranta, proponeva una nuova scienza: la Geobiologia che doveva essere la scienza che studiava l’evoluzione a livello di Biosfera: una ipotesi interessante è che la biosfera rimanga stabile per centinaia di milioni di anni, e la frontiera su cui dobbiamo lavorare è quanto la necessità di mantenere stabili i parametri che permettono la sopravvivenza della vita condizioni l’evoluzione. E questa è secondo me una delle grandi sfide della biologia evolutiva di questo secolo.
Dal mio punto di vista (posso dirlo avendo passato tanti anni del mio lavoro a studiare l’opera scientifica di Teilhard De Chardin) la cosa più affascinante è poi il rapporto stretto tra la sua riflessione filosofica e teologica e le sue indagini scientifiche. Perché la novità più importante della epistemologia del XX secolo, è che lo scienziato che elabora le teorie, non le costruisce in una torre d’avorio, completamente scollegato dal resto del mondo, ma grazie anche alle sue idee metafisiche; preciso che io non sono un filosofo, e uso il termine semplicemente nel significato letterale, di “metà ta phisikà”: cose che sono al di là della fisica, quindi cose che vanno al di là delle osservazioni e degli esperimenti. la sua idea “metafisica” è che l’evoluzione comunque debba presentare tracce, indagabili sperimentalmente di un muoversi verso.
Qui si va negli aspetti più profondi dell’opera teilhardiana ed egli è una figura importante anche perché ritiene che per la scienza dell’evoluzione sia necessario mettere una piccola limitazione a quei meccanismi apparentemente casuali che sembravano emergere da una rilettura affrettata della selezione naturale. Secondo Teilhard nella evoluzione si potevano trovare le tracce di un muoversi verso la complessità e la coscienza. Quindi il Teilhard paleontologo cerca di dimostrare, attraverso lo studio dei fossili, che in realtà l’evoluzione non è semplicemente il risultato casuale di meccanismi casuali, e che nonostante tutto mostra i segni di un muoversi verso un progressivo aumento della complessità, e negli animali di un progressivo aumento della coscienza. E qualsiasi zoologo vede bene che in qualsiasi gruppo animale si va sempre verso forme a maggiore cerebralizzazione.
Ma per poter indagare fino in fondo questi meccanismi e descriverli, secondo Teilhard bisognava indagare meglio i diversi meccanismi evolutivi, cambiando la scala di indagine; non più l’indagine a livello di popolazione, ma l’indagine molto più ampia a livello di evoluzione continentale. Quindi il paleontologo doveva ampliare nel tempo e nello spazio le indagini. In questo modo il risultato non era una dispersione di linee evolutive, ma un convergere verso linee parallele, che era il chiaro segno di una evoluzione direzionale. Si potrà discutere o no la correttezza dei suoi risultati, ma l’impostazione teorica secondo me è abbastanza chiara. È abbastanza chiara e importante perché lo porta a riflettere sia sulla complessità: cambiando scala entrano in gioco altri meccanismi, che la scala popolazionistica non riesce a mettere in evidenza; sia sull’ampliare i meccanismi dal livello continentale a quello della biosfera. E l’indagine sulla biosfera è oggi quella più affascinante, perché il punto fondamentale è quello della stabilità dei parametri.
Come nascono le teorie della biosfera, e quali ne sono i fondatori ? Alla fine dell’ottocento un grande scienziato italiano, che tra l’altro era anche un prete, Antonio Stoppani, il più grande geologo italiano della seconda metà dell’ottocento, ritenne di poter formulare un’ipotesi della stabilità della biosfera, dovuta alle interazioni tra viventi e non viventi. Una volta comparsa la vita sulla terra, i parametri della temperatura, dell’atmosfera, della salinità dei mari, della concentrazione di ossigeno e di anidride carbonica, non cambiavano più perché la vita manteneva stabili i parametri, che permettevano la sua sopravvivenza. Nasce una teoria della biosfera, che poi verrà ripresa da Teilhard De Chardin paleontologo in campo latino e da Vladimir Vernadsky, un geochimico, nell’ambiente russo. È affascinante questo parallelismo tra queste due figure che vivono in ambienti diversi, anche se si conoscono a Parigi negli anni venti. L’idea viene poi ripresa oggi da Lovelock, con la teoria della stabilità, dovuta a meccanismi di feedback, anelli di retroazione negativi.
Quali sono le sue implicazioni di queste teorie ? La grande sfida oggi è quanto questa teoria della stabilità condizioni i meccanismi evolutivi e spieghi il muoversi dei viventi verso la complessità. Se mi posso permettere un’affermazione forte (che ho anche scritto, e si può quindi leggere e discutere), in questa prospettiva l’evoluzione stessa ha valore adattativo, perché è lo strumento attraverso cui la biosfera mantiene stabili i parametri che permettono la sopravvivenza della vita. Un modello completamente diverso, quindi, da quello fortemente casuale che ad esempio si può leggere nell’opera di Monod.
Il punto fondamentale è l’idea del muoversi verso. E l’idea del muoversi verso è un’idea forte nella biologia. Quando parlo di queste cose mi piace moltissimo citare quello che è stato uno dei grandi autori della sintesi moderna, il genetista Theodosius Dobzhanski. La sintesi moderna è quella revisione de meccanismi evolutivi che avviene a cavallo della seconda guerra mondiale unendo insieme la genetica di Gregor Mendel con la selezione naturale. Dobzhanski era un genetista russo che poi si trasferisce negli Stati Uniti; rimane sempre legato alla Chiesa ortodossa, e in una lettera allo storico Green chiarisce il suo pensiero dicendo “io sono convinto che l’evoluzione non sia una vaudeville del diavolo, ma sia in qualche modo un muoversi verso; io spero un muoversi verso una qualche Città di Dio”.
Mi affascina perché Dobzhanski è una delle figure più importanti della sintesi tra Mendel e Darwin – Wallace propri perché è un genetista di popolazioni, ma nello stesso tempo è anche una delle figure più importanti del collegamento tra la sintesi e Teilhard De Chardin. Non a caso fu poi per tanti anni presidente dell’associazione Teilhard De Chardin americana. E l’idea affascinante che l’evoluzione sia in qualche modo un muoversi verso una qualche Città di Dio, è, se mi permettete, bellissima.
Quali sono le differenze tra le teorie della biosfera e ipotesi come quella di Gaia, che sembrano indirizzare quasi verso una sorta di neopanteismo o neoanimismo ? È bene a questo punto chiarire un altro aspetto, perché parlando di stabilità della Biosfera si deve fare riferimento a Lovelock ed è probabile che la maggior parte degli ascoltatori o dei lettori possa pensare alla ipotesi Gaia. Io non amo parlare di ipotesi Gaia, perché il termine ha alcune ambiguità, che vorrei evitare. Però la parte scientifica dell’opera di Lovelock, dice che la stabilità dei parametri della biosfera non è dovuta semplicemente a una lunga finestra astronomica, ma è dovuta anche al concorso attivo della vita e di meccanismi come gli anelli di retroazione negativi, e mantengono la stabilità.
Ma dal momento che ci sono dei parametri che cambiano continuamente, ad esempio la quantità di energia che viene dal sole, di fronte a parametri che cambiano, per mantenere la stabilità bisogna che cambi anche la Biosfera (intendo come esseri viventi). Quindi, la vita cambia per mantenere stabili i parametri. Questa è una ipotesi scientifica, legittima e affascinante, perché a questo punto dà un valore adattativo all’evoluzione, e un valore adattativo al muoversi verso la complessità perché è una buona pista di indagine cercare di capire se è corretta l’ipotesi che afferma che più i sistemi sono complessi, cioè ricchi di parti e relazioni tra le parti, più sono stabili. Il muoversi verso la complessità sarebbe il modo con cui si mantiene la stabilità. È una sfida, è tutta ancora da verificare, però secondo me è una prospettiva affascinante e importante.
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.