Ieri, giovedì, 26 ottobre 2017, il Santo Padre si è collegato con l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale – ISS. Il Pontefice ha avuto come principale interlocutore l’astronauta italiano Paolo Nespoli, che si è anche improvvisato traduttore per i colleghi della stazione spaziale. Papa Francesco ha ringraziato per questa preziosa opportunità, domandando se nella posizione in orbita della ISS al momento del collegamento, per gli astronauti fosse più corretto parlare di giorno o di sera.
Durante i 25 minuti di dialogo, in un incontro simbolico tra fede e scienza, Papa Francesco ha posto numerose domande agli astronauti, chiedendo loro tra l’altro cosa li ha spinti a intraprendere una carriera così difficile e importante, qual’è il significato più profondo della loro attività di ricerca spaziale, e quali sono le loro riflessioni sul creato, e in particolare sull’uomo, tema della prima domanda.
La scienza, ovvero “L’astronomia – ha affermato – ci fa contemplare gli orizzonti sconfinati dell’universo, e suscita in noi le domande: da dove veniamo? dove andiamo?” Il Pontefice ha quindi formulato a Nespoli una domanda alla quale ad oggi è possibile rispondere solo con la fede o con la riflessione filosofica: “alla luce delle Sue esperienze nello spazio – ha infatti affermato – qual è il Suo pensiero sul posto dell’uomo nell’universo ?” L’astronauta ha risposto confessando la difficoltà di rispondere, come tecnico e scienziato, a quella che ha definito come “una domanda complessa”.
“Io mi sento una persona tecnica, un ingegnere – ha spiegato Nespoli – mi trovo a mio agio tra le macchine, tra gli esperimenti; ma quando si parla di queste cose molto più interne – da dove veniamo … – rimango anch’io perplesso. E’ un discorso molto delicato. Penso che il nostro obiettivo qua sia quello di conoscere il nostro essere, per riempire la conoscenza, capire quello che ci sta intorno”. Nespoli ha spiegato anche come sia interessante e importante capire che “più conosciamo più ci rendiamo conto di conoscere poco”.
Auspicando che “non solo ingegneri, non solo fisici, ma persone” come Papa Francesco, “teologi, filosofi, poeti, scrittori”, abbiano la possibilità di andare nello spazio. Auspicio che per Nespoli “sarà sicuramente il futuro”, e che permetterà a specialisti e studiosi di discipline così differenti tra loro di “esplorare che cosa vuol dire avere un essere umano nello spazio”.
Papa Francesco, concordando con la visione di Nespoli, ha preso come spunto “un arazzo artistico ispirato al celebre verso con cui Dante conclude la Divina Commedia: «L’amor che move il sole e l’altre stelle» – Paradiso, XXXIII, 145 – presente nel luogo da cui si è collegato, per chiedere all’equipaggio della ISS: “che senso ha per voi, che siete tutti ingegneri e astronauti, come Lei ha detto bene, che senso ha per voi chiamare amore la forza che muove l’universo?
A tale domanda ha risposto il cosmonauta russo Aleksandr Misurkin, risposta tradotta e sintetizzata da Nespoli: Misurkin ha citato il libro Il piccolo principe di Saint-Exupéry, libro che ha portato sulla ISS, e che “Fa riferimento alla storia che dà volentieri – o darebbe volentieri – la propria vita per tornare e salvare piante e animali sulla terra”. Ecco quindi che “l’amore è quella forza che ti dà la capacità di dare la tua vita per qualcun altro”.
Una risposta che è piaciuta molto a Papa Francesco, per il quale “è vero, senza amore, non è possibile dare la propria vita per qualcun altro”. Risposta che mostra anche come il cosmonauta abbia “capito il messaggio che tanto poeticamente spiega Saint-Exupéry e che” ha affermato il Santo Padre, “voi russi avete nel sangue, nella vostra tradizione tanto umanistica e tanto religiosa”.
La domanda successiva, che il Pontefice ha definito “una curiosità”, in realtà ha toccato due argomenti importanti: la ragione che spinge “a diventare astronauti”, e cosa sia che soprattutto da gioia all’equipaggio dell’ISS durante le missioni in orbita attorno alla Terra. Interrogativi profondi, a cui hanno risposto il cosmonauta russo Sergei Ryazansky e l’astronauta americano Randy Bresnik.
Ryazansky in inglese ha spiegato “che la sua ispirazione è stato suo nonno: suo nonno è stato uno dei primi pionieri dello spazio; ha lavorato al satellite Sputnik, il primo satellite volato sulla Terra; era uno dei responsabili della costruzione del satellite, e lui ha preso ispirazione da suo nonno, ha voluto seguire le sue tracce, perché secondo lui lo spazio è interessante e bello, ma anche molto importante per noi, come esseri umani”.
Per Bresnik, ciò che si può vedere dall’ISS, “è una prospettiva incredibile: è la possibilità di vedere la Terra un po’ con gli occhi di Dio, e vedere la bellezza e l’incredibilità di questo pianeta”. E muovendosi ad una velocità di 10 km al secondo, ha spiegato “noi vediamo la Terra con occhi diversi: vediamo una Terra senza confini, vediamo una Terra dove l’atmosfera è estremamente fine e labile, e guardare questa Terra in questo modo ci permette di pensare come esseri umani, di come tutti dovremmo lavorare assieme e collaborare per un futuro migliore”.
Papa Francesco ha apprezzato le due risposte, con una riflessione sul loro significato: l’importanza delle nostre origini, la fede, la speranza. “In questa risposta – ha affermato – mi è piaciuto tanto quello che voi due avete detto. Lei – parlando al cosmonauta russo Sergei Ryazansky – è andato alle proprie radici per spiegare questo: è andato al nonno. E Lei, che viene dall’America – rivolgendosi all’astronauta statunitense Randy Bresnik – , è riuscito a capire che la Terra è troppo fragile”, è come un fuggevole momento per l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale, che viaggia in orbita alla velocità di 10 km al secondo, come aveva spiegato Nespoli.
Il nostro pianeta, ha spiegato il Santo Padre, “E’ una realtà molto fragile, sottile l’atmosfera, tanto da poter distruggersi. E Lei è andato proprio a guardare con gli occhi di Dio. Il nonno e Dio: le radici e la nostra speranza, la nostra forza. Mai dimenticare le radici: a me fa bene sentire questo, e sentirlo da voi! Grazie”.
Il Pontefice ha chiesto agli astronauti anche come cambino, nello spazio “tante cose che si danno per scontate nella vita quotidiana, ad esempio l’idea di su e di giù, cosa li abbia sorpresi “vivendo nella Stazione spaziale”, e cosa invece li abbia colpiti “proprio perché ha trovato conferma anche lì, in un contesto così diverso” dalla vita sulla Terra. A questa domanda ha risposto l’americano Mark Vande Hei.
Spiegando, attraverso Nespoli, di essere rimasto sorpreso perché “nello spazio trovi cose completamente diverse che sembrano le stesse ma non riconoscibili. Ogni tanto – ha affermato – mi avvicino a qualcosa da un angolo completamente diverso e all’inizio rimango un po’ sconcertato, perché non riesco a capire dove sono, a capire che cos’è. Quello che non è cambiato, invece, è che anche qui dove non c’è più il su e il giù, per riuscire a capire dove sono e trovarmi in questa situazione devo decidere io dov’è il su e dove il giù. E quindi stabilire il mio microcosmo, il mio microuniverso con i miei sensi e i miei sistemi di riferimento.
Per Papa Francesco questa è una attitudine “propriamente umana: la capacità di decidere, di decisione. Mi sembra interessante la risposta – affermato – perché va anche alle radici umane” del nostro essere uomini. Nella quinta e ultima domanda, il Pontefice ha voluto porre l’accento su come l’ISS sia un esempio del modo in cui dovrebbero collaborare tra loro le persone e le nazioni, in una realtà sociale e internazionale segnata invece da divisioni e individualismi.
“E adesso – ha affermato – se voi avete la cortesia di ascoltare, farò un’altra domanda. La nostra società è molto individualista, e invece nella vita è essenziale la collaborazione. Penso a tutto il lavoro che c’è dietro un’impresa come la vostra. Potete darmi qualche esempio significativo di collaborazione vostra nella Stazione spaziale ?”
Gli ha risposto attraverso Nespoli lo statunitense Joe Acaba, di origini portoricane, ricordando che per il progetto ISS “c’è una cooperazione tra diverse Nazioni del mondo”: ovvero Stati Uniti, Russia, Giappone, Canada, e nove Nazioni europee tra cui l’Italia” Acaba ha anche sottolineato “come queste Nazioni lavorano insieme per ottenere qualcosa che è al di sopra di ognuno di loro”, ovvero il lavoro comune per arrivare ad obiettivi scientifici che possono consentire all’umanità di progredire.
“Ma una delle cose importanti e interessanti che ha detto – ha continuato Nespoli – è il fatto che ognuno di noi porta una diversità e queste diversità messe assieme fanno un insieme molto più grande di quello che sarebbe la persona singola; e lavorando così insieme, in questo spirito collaborativo per andare oltre, questo è il modo per noi, come esseri umani, di uscire fuori dal mondo e continuare questo viaggio nella conoscenza”.
Una risposta che ha spinto il Santo Padre ha paragonare l’ISS ad una sorta di piccola ONU in orbita nello spazio: Voi siete un piccolo Palazzo di Vetro ! – ha affermato – La totalità è più grande della somma delle parti, e questo è l’esempio che voi ci date”. Nel ringraziare gli astronauti per il colloquio e per il loro lavoro, Papa Francesco ha detto di sentirli come “fratelli”, perché “rappresentanti di tutta la famiglia umana nel grande progetto di ricerca che è la Stazione Spaziale”. Li ha quindi benedetti, insieme alle loro famiglie, chiedendo di pregare anche per lui.
Paolo Nespoli ha quindi ringraziato il Pontefice per essere stato virtualmente presente sulla ISS, “un posto – ha affermato – dove facciamo tanta ricerca, dove andiamo a cercare le cose di tutti i giorni. La ringrazio – ha continuato – per essere stato con noi e averci portati più in alto e averci tirato fuori da questa meccanicità quotidiana, di averci fatto pensare a cose più grandi di noi.”
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.